Per anni ed anni, i tipici prodotti del Sud, sono stati screditati attraverso allarmismi mediatici: la mozzarella, la pizza, i prodotti ortofrutticoli, come melanzane e pomodori, sono stati protagonisti di testate giornalistiche che, non hanno fatto altro che affondare il mercato del Sud.
L’ultimo allarme, in ordine di tempo, è senza dubbio quello scatenato dall’attenzione sulla Terra dei Fuochi.
Essa ha causato forti preoccupazioni e timori nei compratori, i quali, non sono più sicuri della qualità della merce acquistata.
In questo modo, i prodotti meridionali e, soprattutto, quelli campani hanno perso il loro valore perchè, considerati “meno sicuri” rispetto ai prodotti del Nord. Ovviamente questo, ha causato problemi a livello economico.
Addirittura, Angelo Dario Scotti, presidente del gruppo Scotti Riso, si è sentito in dovere di rassicurare i suoi clienti, attraverso una lettera in cui dichiarava di non usare prodotti campani nella sua azienda. Ovviamente, questa lettera, ha scatenato l’ira del popolo campano.
La particolarità di questa notizia però, deriva anche da un altro fattore: Angelo Dario Scotti, è stato agli arresti domiciliari nell’ambito di una inchiesta sulla centrale elettrica della Scotti a Pavia. Sembra che nella centrale venissero bruciati rifiuti, anche pericolosi, al posto di biomasse. Inoltre, l’imprenditore è stato accusato di corruzione, frode a ente pubblico, frode in forniture pubbliche e traffico di rifiuti.
Insomma, i problemi del Nord, non sono poi così diversi da quelli del Sud.
È emersa, in questi giorni, una notizia tutt’altro che piacevole: camion carichi di cosce, carni congelate, animali vivi, attraversano le frontiere di mezza Europa, per poi giungere sulle nostre tavole come prodotti IGP.
Dalla Coppa di Parma allo Zampone di Modena, dalla Mortadella di Bologna alla porchetta di Ariccia, dal Lardo di Colonnata allo Speck dell’Alto Adige, dal Cotechino di Modena al Prosciutto di Sauris: non abbiamo nessuna notizia in merito alla loro provenienza e in più, non viene posto nessun vincolo ad essa.
Parliamo di centinaia di migliaia di maiali nati e cresciuti in Romania, in Ungheria, in Polonia e in altri paesi dell’Est, oppure in paesi che non fanno parte dell’Unione Europea, come la Turchia. Viene da sè, pensare che questi animali vengano allevati con standard piuttosto diversi da quelli italiani o europei ma, nonostante ciò, riescono ad arrivare nelle filiere delle nostre aziende.
La Coldiretti, sostiene che, la maggior parte della carne suina importata in Italia, proviene da paesi come Germania e Olanda ma, la produzione in Europa si sta spostando sempre più verso Est, tanto che, le multinazionali di tutto il mondo, hanno deciso di investire in queste zone.
Sembra che, da Dicembre 2014, entrerà in vigore il nuovo regolamento sulla tracciabilità che, imporrà etichette più dettagliate alle carni fresche suine, uniformandole alle regole previste per le carni bovine (imposte dai tempi della mucca pazza).
Questa direttiva però, non sarà valida per i salumi, lasciando così campo libero alla delocalizzazione all’estero.
Questa notizia, diventa ancor più preoccupante, se pensiamo al fatto che, nelle ultime settimane la Cina ha intrapreso l’esportazione della carne suina verso la Russia, e lo scorso mese, una delegazione della Cina Meridionale, ha incontrato le autorità locali di Norcia per avviare “un rapporto di cooperazione nelle filiere di suino”.