Morire per conferire vagiti alla vita: una “moda” che sta tristemente ritornando alla ribalta per effetto del crescente numero di morti legate a parto.
Un fenomeno inspiegabile, inaccettabile, ingiustificabile, a fronte del progresso scientifico e tecnologico a supporto della medicina.
E invece nel terzo millennio si rilevano ancora morti “medioevali”.
L’ultimo corpo andato incontro a questo terrificante destino è quello della 38enne Maria D’Ambrosio, deceduta giovedì scorso nell’ospedale Sant’Anna Maria Neve di Boscotrecase, in provincia di Napoli, per complicanze verificatesi mentre doveva partorire una bambina, anche lei morta.
Sette i nomi finiti nel registro degli indagati: si tratta di medici e personale infermieristico che ha assistito la donna, dal suo arrivo al nosocomio di Boscotrecase intorno alle 14 di giovedì fino alla morte, sopraggiunta in tarda sera.
“Doveva essere un giorno di festa, invece è diventato il più brutto della nostra vita”.
Queste le parole di Cira, la sorella di Maria, morta in sala parto mentre dava alla luce la piccola Francesca, che sarebbe stata la sua quarta figlia. Quando viene a sapere del decesso di sua sorella, Cira si trova fuori alla sala operatoria insieme alle due figlie maggiorenni di Maria, Anna e Rosa, di 18 e 19 anni e a Salvatore, il papà della neonata, secondo marito della 38enne, commerciante di prodotti ittici. «Avevamo già pronto il fiocco rosa da mettere fuori alla nostra casa – racconta Cira – è normale, ora stiamo male tutti, non solo per mia sorella e mia nipote. Fa male per tutti i casi passati e soprattutto per quelli che potrebbero ancora accadere. Non è la prima volta che accadono cose del genere in quell’ospedale. Speriamo che la giustizia faccia qualcosa, perché oggi è capitato a noi, ma domani potrebbe accadere ad altri. Solo le forze dell’ordine ci sono state vicine. Mentre aspettavamo e speravamo che a pochi metri da noi non stesse accadendo qualcosa di grave, nessuna delle persone che entrava e usciva dalla sala operatoria ci ha spiegato come stavano le cose. Solo quando sono arrivati i carabinieri abbiamo capito cosa stesse accadendo». «All’inizio – racconta la figlia Anna – credevamo che mia mamma aspettasse due gemelli e che uno fosse morto. Poi scoprimmo che non era vero».
La gravidanza di Maria, secondo il ginecologo che l’ha seguita, non ha mai presentato complicazioni e i risultati delle analisi sono sempre stati nella norma. Ciò che non è chiaro a Cira e ai suoi cari è quello che è accaduto in sala parto. «Mia sorella era alla 41esima settimana di gravidanza. Aveva finito i suoi conti lo scorso 4 novembre – racconta Cira – e non aveva le doglie quando è andata in ospedale». Da quando si è recata al Sant’Anna, i medici hanno effettuato vari tracciati alla paziente. «Quello delle 18 – continua Cira, che si sentiva telefonicamente con Maria – riporta che mia sorella aveva solo piccole contrazioni. Alle 22 la bella notizia: l’utero si è dilatato di sei centimetri e mia sorella ha le contrazioni. Così ci precipitiamo tutti in ospedale. Giunti al quarto piano, ci passano davanti alcuni infermieri con mia sorella su una barella, la faccia viola, un rivolo di sangue dalla bocca. Chiedo all’infermiera cosa avesse mia sorella. Lei per tutta risposta, copre il volto di Maria con un lenzuolo. Fino a mezzanotte nessuno ci dà spiegazioni. Non sappiamo nemmeno se Francesca è nata o no, perché nessuno ci ha detto niente. Quando chiedevamo ai medici e agli infermieri che entravano e uscivano dalla sala operatoria cosa stesse accadendo, nessuno ci rispondeva o ci diceva di non sapere perché lì dentro tutti erano severi», racconta Anna, una delle figlie di Maria.
«Devono pagare davanti alla giustizia – conclude la ragazza – anche se purtroppo nessuno mi darà mai più indietro la mia mamma».