È una notte come tante, come quella trascorsa, come quella che calerà sulle nostre disattente ed assorte vite tra qualche ora.
Eppure, non era una notte come tante. Ad imprimerle un battito diverso era il sincero desiderio di viverla, percorrendo la strada di ritorno più lunga, pur di respirare ancora la musica cantata dall’autoradio frammista alle sensazioni che piovevano dal cielo. In quelle notti, il bisogno di sovvertire le regole consegna la sincera voglia di fare colazione prima di andare a dormire.
Così, mi ritrovai lì, in uno dei tanti bar alla periferia del mondo e della vita, dove la macchina del caffè non riposa mai e l’odore dei cornetti caldi ti solletica le papille gustative prima del loro stesso soffice sapore.
In quel bar non ho mai visto disegnata al di là del bancone la sagoma di un adulto.
Il business è affidato ad un esercito di industriose ed instancabili “piccole formiche”: ragazzini con la faccia sveglia, anche quando sbadigliano e con gli occhi pieni di sogni anche quando sono sopraffatti dalla stanchezza.
Scontrini, caffè, pizzette, cornetti: mani operose che afferrano ordini e servono gustosa cortesia. Quella non ancora contaminata dalla scaltra malizia “dei grandi”, quella che ride sotto i baffi al cospetto di un muso sporco e che bisbiglia messaggi in codice per comunicare informazioni.
Dietro quel banco si destreggia da anni un piccolo, grande uomo: 15 anni all’anagrafe, molti di più, invece, quelli maturati grazie alla “vita di strada”.
“La gente pensa che quando piove chi lavora di notte è avvantaggiato, perché non arrivano clienti da servire e quindi passi il tempo senza fare niente. Io odio la pioggia perché stare senza fare niente è la più grande condanna che si può infliggere a un essere umano. Rimani con le braccia incrociate a fissare le gocce, lunghe e sottili, grosse e pesanti, le pozzanghere, i lampi. E inevitabilmente ti metti a pensare… Penso che questa è la condizione nella quale vive mio padre che dentro la cella nella quale si trova, probabilmente sta tutto il giorno senza fare niente. E credo che i suoi pensieri siano molto più pesanti e tormentati dei miei. O forse no, perché questo vorrebbe dire che è cambiato e che ha compreso i suoi errori. E non sono sicuro che sia veramente cambiato.
Poi penso se mia madre, mi chiedo se sotto terra sta sentendo freddo o se si sta bagnando. Si, lo so, è un pensiero scemo, però nessuno può sapere cosa si prova quando si è morti. E quando piove, a me mia madre manca di più.
Penso che forse è una sera dritta, nonostante tutto, perché quell’acqua che viene giù dal cielo costringe i miei fratelli a stare lontano dai guai e forse viene giù anche pe questo.
Penso che quella pioggia rappresenta una sorta di pianto di tutta l’umanità.
Ed è per questo che odio stare senza fare niente. Odio piangere.”