Il napoletano ignorante, l’immigrato ladro, la donna una poco di buono.
Questo è un pregiudizio. Questo è uno stereotipo. Questo è sbagliato.
La storia della nostra città è una storia di accoglienza, ne sono fermamente convinta. Amiamo questa terra e soffriamo del suo abbandono, ci farciamo da sempre di indignazione quando è maltrattata, siamo visceralmente legati al suo profumo e all’ infinita quantità di umanità che sa dare. Napoli è la nostra terra e ci sono radici che non puoi tagliare, mai. Ma se questo vale per noi, fermiamoci un attimo a riflettere quanto lo stesso concetto valga per un altro popolo. I sentimenti ci accomunano tutti e spazzano via colori ed idiomi.
Lasciare di prepotenza il ventre che ti ha nutrito perché allo stesso modo sta per distruggerti. Emigrare non è facile per nessuno, tenetelo ben presente. Abbandonare la terra su cui hai mosso i primi passi, rinunciare a sentire il suono della lingua che hai imparato per prima a parlare ed accantonare le tradizioni che ti hanno plasmato. E’ la lotta per la vita. Morire nel niente o tentare e sperare.
Questa è la storia di una donna che non si è arresa alla disperazione, che con le unghie e con i denti si guadagna il suo angolo di serenità e chissà, chissà se le spetta la felicità.
Tanya, ucraina, collaboratrice domestica.
Tanya è gentile, educata, gran lavoratrice. Lontana anni luce dal binomio “donna dell’est- ruba mariti” ha bellissimi capelli neri che nasconde in una treccia castigata, non si trucca mai e cammina spedita, come se scappasse, sempre. Sorride e china il capo.
Accetta con grande dignità i vestiti dismessi per spedirli a casa, alle donne della sua famiglia.
“ Non c’è vergogna nella gratitudine”
Tanya non conosce stanchezza, è una parola che non pronuncia, che non si può permettere.
“Ho preso un impegno, e gli impegni si mantengono.” Di nuovo sorride e china il capo.
Non ha tempo per l’amore, si basta da sola. Prima di essere figlia della fame è figlia dei nostri tempi, agogna quelle opportunità di modernità che noi diamo tanto per scontate.
“Non sprecarti” mi dice. Questa volta sono io a chinare il capo e a sorridere. Riso amaro.
Tanya sa di essere doppiamente svantaggiata. E’ una donna ed è immigrata. Stigmatizzata, stereotipata e ricattabile. Siamo bravissimi a diseguagliare le diseguaglianze. E’ fortemente consapevole di vivere in un paese in crisi non solo economica, ma sociale e morale. Conosce bene il modello culturale così insito in alcuni di noi per cui lo straniero spaventa e ruba il lavoro, ma è una donna caparbia Tanya. Non ha niente da dimostrare a nessuno se non a se stessa. Lei può farcela, può ritagliarsi un ruolo, uno spazio in questa città che ormai sente un po’ come sua. Ha un’identità salda e spalle grandi ed è convinta che qui, insieme a me, insieme a voi sarà riconosciuta per quello che è. Una persona.
Ha la sua storia, ha la curiosità necessaria per arricchire il suo bagaglio culturale e la voglia di arricchire quella degli altri. Tanya ha fiducia in noi ed io ho fiducia in lei. La immagino prendersi le sue rivincite e dirmi, un giorno, che aveva ragione. La vedo dirmi che questo popolo è meglio di quello che si crede, che ha un cuore grande ed una fine intelligenza perché la sua battaglia è anche la nostra, perché un’immigrata maltrattata è una donna maltrattata e una donna maltrattata è un tassello in meno nel grande lavoro dell’ umanità per essere migliore.
In questa donna che ogni giorno allarga le braccia per dire al mondo che quello spazio è il suo spazio, ma se chiedi permesso è anche un po’ il tuo, io vedo l’alba di un giorno migliore. Non perfetto, quello no, ma più felice per tutti, più amabile e più rispettoso.
Chiediamo il permesso e diamoci un opportunità, nella speranza che queste storie di disperazione diventino storie d’amore. Tanya non si arrende ad un mondo guidato dall’ odio ed incline segregazione, lei vuole i fiori, il sole e, da buona partenopea, la pizza.
E tu?