Ritorna a dominare la scena della seconda serata del venerdì televisivo lo sfarzo e l’eccesso di quella Napoli a base di “frutti di mare crudi” e desiderio di mettersi in mostra che sfocia nel fanatismo, più che degnamente raccontata dal famigerato “Il Boss delle cerimonie” in onda su Realtime.
Una nutrita fetta di Napoli si sdegna, si scandalizza, si oppone, inorridisce e protesta, perché non si rispecchia nella “Napoli delle cerimonie” nuovamente tornata alla ribalta dallo scorso venerdì.
Nell’edizione precedente, il programma era incentrato sui matrimoni, mentre stavolta a tenere banco sono “le comunioni da sogno.”
Questa corpulenta e vibrante insurrezione popolare è analoga a quella partorita dal medesimo orgoglio partenopeo allorquando i riflettori si sono accesi sulla “terra dei fuochi”.
Tutti, proprio tutti, in maniera più o meno cosciente, da decenni, sapevamo cosa giace sotto il focoso rosso dei nostri famigerati pomodori. Eppure, prima che a quelle anonime campagne venisse affrancata l’etichetta di “terra dei fuochi” nessuno ha mai afferrato il megafono per prendere una sonora e fidente posizione pubblica.
Analogamente, ogni partenopeo nasce, cresce e convive con la consapevolezza di cosa giace sopra quella stessa terra, quando prendono forma le “scene da cerimonia”.
Tuttavia, prima che fossero erte a protagoniste di un reality show, nessuno ha mai preso un altrettanto sonora e fidente posizione pubblica a riguardo.
Seppur si tratti di due tematiche tra le quali imperversa una profonda differenza, soprattutto per quanto attiene la gravità in esse radicate, “la popolare reazione del popolo” è stata la stessa: gli viene accordato il permesso di esistere, purché non se ne parli.
Eppure quella realtà contornata di pizzi, merletti e “melodie neomelodiche” non è frutto di artificiosi montaggi.
È tutto “reale” e dentro di noi, questa lucida consapevolezza, esiste.
Ad un cittadino di Rovigo o di Bolzano, basterebbe inserire la dicitura “cerimonie napoletane” in qualunque motore di ricerca per imbattersi in video amatoriali dal contenuto finanche più trash rispetto a quelli proposti da Real time e tra i commenti che accompagnano le immagini, troverebbe solo battute goliardiche e nessun cenno di riluttanza.
Questo apre un profondo squarcio sulla psiche di questo popolo: permaloso, orgoglioso, ostinato, cocciuto, aggrovigliato intorno ad una serie di luoghi comuni, dei quali, dichiara, di volersi assolutamente disfare, ma, ai quali, lui per primo, rimane saldamente ancorato, incapace di comprendere che sono le sue stesse mani a cucirsi addosso certe etichette.
“La Napoli delle cerimonie” esiste: lo dimostrano le “foto da Vrenzolario” che immortalano baby-spose accompagnate in chiesa da carrozze trainate da cavalli bianchi per ricevere il sacramento della comunione, le serenate, i fuochi d’artificio, donne “pittate ed ingioiellate” fino all’inverosimile, fasciate in abiti succinti, eccessivi, slanciate da calzature improbabili, uomini lampadati, con le ciglia affinate e ben disegnate, incravattati in abiti cuciti con stoffe simili a quelle usate per tappezzare divani e tende, banchetti interminabili che si protraggono fino a notte fonda, i balli latinoamericani, i cantanti neomelodici, lo sfarzo, lo spreco, l’esubero, l’eccesso.
È tutto vero e ne siamo tutti consapevoli.
Però “Napoli è anche altro”.
E tutti, noi per primi, dobbiamo esserne consapevoli, se vogliamo che “gli altri” facciano altrettanto, accantonando i piagnistei e l’autocommiserazione, spogliandoci delle misere vesti di “vittime di noi stessi” per praticare la costruttiva arte del non prendersi troppo sul serio.
Il resto del mondo “ride e sorride” al cospetto di quelle scene, ma, una volta spenta la tv, riprende a girare esattamente come faceva prima.
Non comprendo perché dobbiamo lasciar credere di voler invertire la rotta, giacché non vedremo mai nessuno incatenarsi al cancello del “castello di Don Antonio” per dire “basta a questo scempio”.
Però, vogliamo essere degli “animali da tastiera” attivi e proliferi, pronti a sbranare la notizia che fa più tendenza.
A tutti i costi, anche a discapito del buon senso.
La logica dovrebbe impone che “seguire il gregge” quasi mai equivale ad applicare la condotta intellettualmente più onesta alle proprie idee ed azioni.
“Un certo” Fabrizio De André, asserisce quanto segue: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.”
Eppure, sparare a zero sul letame non è e non sarà mai il modo più lungimirante di “ergersi a fiore”.