È facile descrivere Napoli: basta impastare una pizza, farcirla di luoghi comuni ed infornarla nelle roventi fauci del Vesuvio.
Napoli va oltre, Napoli è altro.
Napoli è talmente complessa nella sua caotica semplicità che, talvolta, risulta difficile comprenderla, se non addirittura impossibile, finanche per quei cuori germogliati dalle sue stesse viscere, ma animati da un arido e impavido fervore, quello che li porta a rinnegare la loro stessa terra, a scipparsela dal petto e rimpiazzarla brutalmente con cruente e ruvide pietre.
Napoli è i vicoli: quelli che sembrano tutti uguali, perché i vicoli di Napoli li riconosci subito, però, tra un sanpietrino e una crepa nascondono puntuali frammenti di scarna diversità. Il calore dell’asfalto, delle voci, del caos che da quelle parti si chiama “o burdell’”, del ragù che bolle sul fuoco, del sole che in quel labirinto di decrepite mura e speranze, ci arriva tagliato in fili timidi e sottili, poco efficaci ad asciugare i panni stesi da un estremo all’altro.
Quelle sono le vere bandiere di Napoli.
Quei panni tesi e protesi alla ricerca incessante di sole e che non smettono mai di sventolare in cielo, di giorno e di notte.
I panni stesi nei vicoli non nascono per essere indossati dalle persone, ma dalle anime.
Napoli è Maradona: il Dio di questo popolo, l’unico essere ancora vivente venerato come un santo e adorato come una divinità.
Maradona è il sogno più grande tramutato in realtà.
Maradona è sentimento e storia, passione ed emozione, riscatto sociale e gratificazione.
Maradona è il più commosso ed assordante canto di gioia partorito dai napoletani.
Maradona è il Re di Napoli e fino alla fine del mondo e anche oltre, negli abissi dell’eternità, la sua leggenda amorevolmente troneggerà sul capo della sua gente.
Maradona è un mito che non morirà mai.
Maradona è perpetuo ed infinito.
Maradona è per sempre.
Napoli è un campo di pallone improvvisato capace di nascere in qualsiasi momento e a qualsiasi ora, ovunque ci sia un bambino, due cartelle o qualsiasi altro oggetto utile per accennare una porta e soprattutto ovunque viva il fervido ed appassionato desiderio custodito in un pallone di pezza, di cuoio, in un Super Santos o in qualsiasi altra diavoleria di forma sferica forgiata a pallone dalla scaltra abnegazione verso quello che per un bambino di Napoli non rappresenta uno sport, ma il primordiale e più viscerale dei sogni.
Napoli è ritrovarsi con le tasche bucate dalle quelli penzolano pochi spiccioli e tante speranze e protendere lo sguardo verso il cielo per affidare all’immensità del mantello azzurro che avvolge il mondo, e quindi anche Napoli, i sogni che raccontano di un futuro diverso e più roseo e i viaggi più densi di avventure ed esperienze, quelle che forgiano il carattere e fanno bene all’anima, ma non rinvigoriti dal desiderio di imparare la lingua, perché parlare fluentemente il dialetto napoletano vuol dire possedere il registro linguistico più versatile del mondo, quello che consente di comunicare con tutti e di farsi capire e non comprendere, in tutte le parti del mondo, da tutta la gente del mondo.
Perché ogni singolo tassello di mondo è fecondato da una goccia di Napoli.
Napoli è il mare: quello che ti sbatte in faccia in tutta la sua smisurata e sconfinata grandezza e ti cattura con il fascinoso ed abbagliante splendore dei suoi giochi di colore, ma è anche quello raccolto e timido, che s’interpone tra un palazzo e l’altro, come se ci stesse giocando a nascondino e che appare tra un frammento e l’altro di realtà, come la più surreale delle bellezze della vita.
Perché quando guardi il mare di Napoli, non puoi fare a meno di pensare “È troppo bello per essere vero”.
Poi ti ricordi che sei a Napoli ed è quello l’esatto momento in cui comprendi cos’è Napoli e chi è Napoli.
Foto: Giuseppe Divaio per Napoli Photo Project