“Perchè guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”
Questo è quanto recita un passo del Vangelo: un’autentica lezione di vita che conferma un’innata ostinazione umana volta a criticare il prossimo piuttosto che lavorare d’introspezione per migliorare i propri limiti e colmare le proprie lacune.
Questo è quanto accade nel “microcosmo” che costituisce una singola vita, ma anche nel più complesso ed ampio “macrocosmo” che porta il nome di società.
Questo è quanto sta accadendo, ancora una volta, ai danni di Napoli, per effetto delle ormai ampiamente note accuse mosse contro la pizza, finita sul banco degli imputati e non su tavoli a lei ben più consoni, con l’accusa di “nuocere alla salute”.
Eppure, Napoli sale in cattedra replicando, ancora una volta, con lungimirante intelletto, rendendo nota “la sua ricerca” quella supportata da dati scientifici e che colloca sul banco degli imputati un alimento che nel cuore del Nord si consuma da centinaia di anni.
Si chiama “fumonisine” ed è una tossina che renderebbe la polenta tossica.
Questo è quanto dichiarato dal primo ricercatore del Cnr, istituto di genetica e biofisica di Napoli, Roberto Defez, durante un convegno organizzato dalla fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Nel suo intervento dedicato allo “sviluppo sost-edibile”, Defez ha ricordato che, nel 2007, il Regolamento 1126 ha introdotto un tetto delle fumonisine nei prodotti alimentari, differenziando il valore nell’alimentazione destinata agli adulti da quella dei bambini.
Secondo una analisi effettuata dal ricercatore Cnr “su 77 polente in commercio, la composizione di quelle da agricoltura biologica avrebbe un valore di fumonisine due volte superiore alla media”.
Defez ha poi ricordato dati relativi a studi pubblicati antecedentemente che indicano Pordenone – dove la polenta rientra nelle abitudini alimentari locali – come la terza città in Europa per alta correlazione di tumori all’esofago.
Statistiche che difficilmente lasciano ipotizzare che non vi sia un collegamento diretto tra incidenza di tumori e “consumo di polenta”.
Ancor più se si considera che i “polentoni” si sono disfatto dei loro rifiuti concorrendo ad alimentare “la terra dei fuochi” al Sud con il consequenziale disastro ambientale che ne è derivato.