Il 1º ottobre 1943 alle 9:30 i primi carri armati Alleati entrarono in città, mentre alla fine della stessa giornata, il comando tedesco in Italia, per bocca del maresciallo Albert Kesselring, considerò conclusa la ritirata con successo.
Il bilancio degli scontri delle “Quattro Giornate di Napoli” non è concorde nelle cifre; secondo alcuni autori, nelle settantasei ore di combattimenti, morirono 168 partigiani e 159 inermi cittadini; secondo la Commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano le vittime furono 155 ma dai registri del Cimitero di Poggioreale risulterebbero 562 morti.
È da notare che la gran parte dei combattimenti si ebbero esclusivamente tra italiani e tedeschi. A differenza di altri episodi della Resistenza furono infatti relativamente rari gli scontri con fascisti italiani, che probabilmente non avevano avuto il tempo di riorganizzarsi efficacemente dopo l’8 settembre (ricordiamo infatti che la Repubblica Sociale Italiana fu proclamata il 23 settembre, ovvero solo quattro giorni prima dello scoppio della rivolta).
Tirando le somme, oltre l’importantissimo risultato morale e politico dell’insurrezione, le “Quattro Giornate di Napoli” ebbero senz’altro il merito di impedire che i tedeschi potessero organizzare una resistenza in città o che, come Adolf Hitler aveva chiesto, Napoli fosse ridotta «in cenere e fango» prima della ritirata.
Così come fu evitato che il piano di deportazione di massa organizzato dal Colonnello Schöll avesse successo.
Nel breve periodo di occupazione tedesca, si annoverano circa 4000 deportati.
A ciò si giunse non soltanto grazie ai 1.589 combattenti ufficialmente riconosciuti, ma anche per la resistenza civile e non violenta di tanti napoletani, fra cui preti e giovani operaie, «scugnizzi» e professori, medici e vigili del fuoco, «goliardi» e disoccupati.
Tutto il popolo, unito, coeso ed affiatato contro il nemico, animato dell’esclusivo e prioritario intento di conquistare la libertà.
Circa un anno dopo, il 22 dicembre del 1944, i generali Riccardo Pentimalli e Ettore Del Tetto, che avevano abbandonato la città nelle mani dei tedeschi all’indomani dell’8 settembre, furono condannati dall’Alta Corte di Giustizia a 20 anni di reclusione militare, pena successivamente ridotta per effetto di condoni e provvedimenti di grazia.
Anche l’avvocato Domenico Tilena, che aveva retto la federazione fascista provinciale durante gli scontri, fu condannato a 6 anni e 8 mesi.
Alla memoria delle “Quattro Giornate di Napoli”, è stata dedicata l’omonima piazza Quattro Giornate, nel quartiere Vomero, in prossimità dello Stadio Arturo Collana, oggi sede della stazione Quattro Giornate della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, già teatro della maggior parte degli scontri dell’insurrezione.
Lapidi commemorative si trovano in via Belvedere (Masseria Pagliarone) dettata da Aldo De Gioia della Commissione toponomastica del comune di Napoli, sempre al Vomero, a via Luigi Sturzo (Masseria Pezzalonga) all’Arenella, all’ingresso del Palazzo della Borsa in Piazza Bovio, presso il Bosco di Capodimonte, in via Santa Teresa degli Scalzi, sul ponte della Sanità (dedicato a Maddalena Cerasuolo, medaglia di bronzo al valor militare) e in Piazza Nazionale.
Un monumento «allo scugnizzo», figura simbolo dell’insurrezione, sorge invece alla Riviera di Chiaia, in piazza della Repubblica. Il monumento fu progettato dallo scultore Marino Mazzacurati nel 1963 e consiste in una statua di pietra che ritrae gli scugnizzi su ognuno dei quattro lati della scultura.