La storia di Batistuta è fatta di occasioni perdute e di chance sfruttate bene, di promozioni e bocciature, di abbagli e intuizioni.
Per pura casualità fece il suo esordio in prima squadra il 25 settembre del 1988: “grazie” all’infortunio del centravanti titolare, Bati fu schierato col suo 9 sulle spalle nella semifinale di Coppa Libertadores contro il San Lorenzo.
Niente gol, ma in campo lasciò il cuore.
La mattina seguente, i suoi sogni furono svegliati dal titolo di un giornale che suonava come una premonizione: “Batistuta, una grande promessa”.
Gabriel però non metteva tutti d’accordo.
Campioni del calibro di Passarella e Sivori, non intravedevano in lui un giocatore degno di tal nome.
Entrambi però hanno dovuto ricredersi.
Ma Gabriel non ha mai cercato rivincite o paragoni con nessuno.
Lui era Batistuta e basta: una calciatore umile, ma capace di scrivere una pagina calcistica ben più rosea dei suoi denigratori.
Dopo aver fatto gavetta nel Newell’s Old Boys di Rosario e panchina nel River Plate, Bati approda al Boca Juniors, la sua squadra del cuore.
In quel periodo, fece anche la sua prima esperienza italiana al torneo di Viareggio con il Deportivo. Dopo aver pareggiato col Milan, Gabriel brillò contro il Cska di Sofia realizzando una tripletta, ma l’avventura del Deportivo si concluse ai calci di rigore contro il Torino. L’errore decisivo fu proprio di Bati che festeggiò nel peggiore dei modi il suo ventesimo compleanno.
Come per ogni calciatore, anche per Batistuta l’inizio della carriera non è stato facile.
Tuttavia “el Camion” – così fu soprannominato Bati per la sua trascinante potenza in attacco – riuscì ugualmente a farsi notare per le sue eccellenti doti di goleador: metà del suo cartellino passò al River Plate. Però, dopo un inizio convincente, fu relegato in panchina e per sei mesi non disputò nemmeno una partita.
La tristezza lasciò il posto alla rabbia e a giugno Batistuta abbandonò il River per il Boca Juniors. Lì si fecero sentire i troppi mesi di assenza dai campi di gioco ed il suo rendimento fu disastroso, colpa anche della maggiore pressione dei tifosi verso la squadra.
Nel gennaio 1991 ad allenare il Boca arrivò Oscar Tabarez: la squadra venne ricostruita, l’allenatore sapeva dare fiducia ai giocatori e valorizzarne le capacità, l’intesa con i compagni era perfetta, ed il Boca cominciò a vincere come non succedeva da tempo, giungendo in finale di Coppa Libertadores e perdendo il campionato per un soffio, proprio contro il Newell’s.
I gol di Bati cominciavano a fioccare, ed il campione a farsi strada.
Cominciarono anche ad arrivare le prime offerte dall’Europa: Verona, Juventus, Real Madrid, Fiorentina.
Fu proprio nel 1991, durante una partita di Coppa America che Vittorio Cecchi Gori, allora vicepresidente della squadra viola, notò il giovane Gabriel Omar Batistuta, capì il suo talento, apprezzò la sua classe ed il suo senso del gol e decise di portarlo a Firenze.
Anche nella Fiorentina, come era stato nel River e nel Boca, il primo approccio con l’ambiente e con i compagni non fu dei migliori: litigi, incomprensioni, abitudini diverse, e, stavolta, anche lo scoglio della lingua.
Inoltre a Bati mancava una vera spalla, con cui costruire le prodezze di cui era capace. Ma il carattere forte e sincero, tipico del grande campione, riuscì a spianargli la strada: Gabriel cominciò a segnare e ad essere decisivo per le sorti della squadra, mentre Firenze, a poco a poco, si affezionava a lui, al ragazzo dai lunghi capelli biondi, dai piedi magici e dal carattere discreto.
Il 26 febbraio 1992, con il gol dell’1-0 segnato alla Juventus, a Firenze nasceva il mito di BATIGOL.
Seguirono gol a raffica: una doppietta al Genoa, una tripletta a Foggia ed ancora una doppietta all’Olimpico. Il mito andava consolidandosi. Nonostante i grandi risultati personali di Batistuta, quell’anno la Fiorentina si piazzò dodicesima, e l’anno seguente per i viola arriva, inaspettata, la retrocessione in serie B. Batistuta prende in mano le redini della squadra e decide di restare comunque a Firenze. Nonostante il boccone amaro, un grande orgoglio ed un forte attaccamento alla città lo spingono a lottare per riportare la Fiorentina nella massima serie: ancora una volta il coraggio e la voglia di vincere sono più forti dell’umiliazione.
E Bati riesce nel suo intento: grazie a lui ed alla sua grande intesa con Francesco “Ciccio” Baiano, nel 1994 la Fiorentina domina il torneo cadetto e torna in serie A. L’anno seguente Bati conquista il record di domeniche consecutive a segno, undici, strappandolo ad un vecchio giocatore del Bologna, Pascutti, che si era fermato a dieci.
È anche l’anno della “bandierina“, il mitico, indimenticabile modo di festeggiare i gol, che ha idealizzato così l’immagine di Batistuta goleador che, in quella stagione (’94-’95) vinse anche la classifica cannonieri di serie A, con 26 reti.
Nella stagione successiva, la Fiorentina finisce il campionato al terzo posto, conquistando finalmente un posto in Europa, ed il 18 maggio a Bergamo, contro l’Atalanta, Batistuta regala ai tifosi la Coppa Italia, la numero 5 della storia gigliata. Quattro mesi dopo, a S.Siro contro il Milan, l’argentino stupisce l’Italia intera annientando Baresi e l’intera retroguardia rossonera e con una strepitosa doppietta porta a Firenze la Supercoppa di Lega.
Il 1995 fu anche l’anno delle 100 partite in serie A.
Il traguardo fu festeggiato dai tifosi viola con quello che, finora, è il più grande riconoscimento conferito da una tifoseria ad un calciatore: una statua a grandezza naturale in bronzo.