Credo che informarsi, muoversi dalla pigrizia di supporre che quello che ci viene dato in pasto alla mente al primo, facile boccone, sia un giusto atteggiamento. Prendersi la briga di ricercare qualcosa che vada al di là di ciò che è in superficie sia soprattutto un atto di coraggio perché spesso la verità – o almeno che più le si avvicina – è assai diversa ed il più delle volte, ahimè, amara.
Informarsi su ciò che accade intorno a noi, su ciò che mangiamo, ciò che ci fa ammalare o che ci dovrebbe far guarire, per arrivare, poi, a porsi domande di interesse generale, ad esempio se la società in cui viviamo sia, almeno nelle intenzioni, la migliore, o la meno peggio, credo che poi ci permetta di abituarci a pensare con la nostra mente e, di conseguenza, vivere da persone libere.
Attualmente, in Italia ed in buona parte dell’Europa, si vive la contraddizione dell’euro, una moneta che non ha uno Stato di riferimento, una moneta che deve essere semplicemente debellata.
La spiegazione scientifica del mio enunciato la fornisce Alberto Bagnai, professore associato di Politica economica presso il Dipartimento di Economia dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara, nel suo libro “Il tramonto dell’euro” ed il cui blog Goofynomics.blogspot.it è stato eletto per il secondo anno consecutivo dal MIA ’14 – ente che premia i siti più cliccati e seguiti del popolo di internet – come il miglior blog di approfondimento economico, secondo solo a “Il Sole 24 ore”.
Quindi, rotti gli indugi, direi di iniziare così: l’Italia non è un Paese di persone sfaticate, debosciate, corrotte e poco produttive. Almeno non nei termini in cui vogliono farci credere, almeno non peggio di coloro che abitano la Germania, vale a dire i tedeschi e tiro in ballo loro solo perché, nell’immaginario collettivo, vengono percepiti come un esempio di precisione, impegno ed efficienza.
Alla fine degli anni Settanta eravamo la quinta potenza al mondo, avevamo superato la Gran Bretagna ed insidiavamo proprio la Germania. L’operaio italiano guadagnava e guadagnava tanto, il suo livello di produttività era quasi pari a quello tedesco ed il nostro modello industriale, la piccola e media impresa, era invidiato in tutto il mondo. Mi riferisco al Made in Italy: quel prodotto frutto di creatività, fantasia, ricerca del particolare che ha reso la nostra nazione celebre in tutto il mondo.
Come mai non tira più? Cosa è successo? Perchè le aziende chiudono e la disoccupazione è alle stelle?
La colpa è di un offerta di prodotto peggiorata oppure di un crollo verticale della domanda?
A “Ballarò” oppure a La7 vi diranno che non abbiamo attuato le cosiddette “riforme”, che i nostri politici hanno rubato, che la burocrazia ci stritola e rallenta misure che snellirebbero procedimenti essenziali per la macchina statale, che i vincoli dell’Europa sono troppo stretti, che bisogna battere i pugni sul tavolo (quale?), che però, infondo, questa situazione, un po’ la meritiamo – e vai con l’autorazzismo – e che se vogliamo “riagganciare la ripresa” – questa la dicono sempre – dobbiamo fare come la Germania, modello di perfezione.
Beh, sul fatto di snellire la burocrazia e combattere la corruzione – cosa che piace tanto a Beppe Grillo – se ne può parlare.
Fenomeni che, però, in Italia sono sempre esistiti, anche quando eravamo dei leader economici.
Correggere questi due fenomeni, allo stato attuale, avrebbe lo stesso valore di andare in farmacia chiedere un aspirina per il nostro raffreddore e lasciare che la broncopolmonite acuta faccia il suo corso.
Innanzitutto chiediamoci: cosa sono queste riforme che ci sventolano come unica panacea per i nostri mali da anni ed in cosa consisterebbero realmente?
Ve lo dico io, anzi, Bagnai: semplicemente maggiore flessibilità sul lavoro, introduzione dei mini-jobs tedeschi ed abbattimento del costo del lavoro. In altri termini: disoccupazione.
Come se non bastasse, quella che Monti, Letta e Renzi hanno creato in soli tre anni.
D’altronde, allo stato attuale, altre strade non ce ne sono.
Se sei una nazione come l’Italia, votata all’export, non avendo materie prime – a parte il marmo di Carrara, come direbbe sempre Bagnai – vendendo tanto, come ha sempre fatto il made in Italy, vedrà i prezzi dei suoi prodotti aumentare, come anche la valuta di riferimento, essendo tanto richiesta per comprare prodotti italiani (un francese che compra una fiat 500 a Torino, Pomigliano o Termini Imerese non la acquista, o meglio, non la acquistava, in franchi, ma in lire).
La legge della domanda e dell’offerta è semplice.
Quindi, la lira si apprezzerebbe, il bene italiano costerebbe di più e le aziende comincerebbero a vendere di meno, come è normale che sia in un mercato equilibrato.
Lo Stato interverrebbe con una bella e sana svalutazione della diretta e cioè con uno strumento fondamentale di politica monetaria, quel tanto che basta per renderla di nuovo competitiva.
Ed è così che l’Italia è diventata ricca, grazie al lavoro dei suoi abitanti, che senza petrolio, metano, oro, diamanti, hanno acuminato l’ingegno ed hanno prodotto qualità.
Made in Italy: roba di cui andare fieri, altro che Piigs, inefficienza, e pigrizia.
Comunque, tornando alla svalutazione di cui prima, la lira tornerebbe appetibile sui mercati, si riprenderebbero le esportazioni del prodotto italiano e l’imprenditore felice continuerebbe a vendere, a guadagnare ed a pagare buoni stipendi ai suoi lavoratori.
Che bello!
Prima. Ora non più.
Adesso siamo attaccati al vincolo esterno, la svalutazione monetaria non è al momento attuabile, c’è l’euro ed il cambio è fisso, bloccato, incastrato.
Ed allora cosa resta da fare allo Stato per far sì che il debito non aumenti?
Facile, con la svalutazione interna, si colpisce il più celebre costo della produzione, il costo del lavoro e quindi sale, come sta salendo in tutta l’eurozona, la disoccupazione.
Un dramma.
E pensare che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro..
Inoltre, ormai ci hanno fatto il lavaggio del cervello sul debito pubblico: è troppo alto, paghiamo interessi esorbitanti, è colpa dello Stato spendaccione. Nulla di più falso.
Bagnai ci mostra che la spesa pubblica in Italia negli ultimi quindici anni è stata molto più bassa rispetto a quella dei Paesi ritenuti “virtuosi” come la Germania, per esempio.
Allora, cosa è successo?
Questo debito nasce non dallo Stato che ha sperperato, ma dalle famiglie e dalle imprese italiane che si sono indebitate (per l’euro), che hanno chiesto maggiori prestiti bancari, che a volte non sono riusciti ad onorare e che le banche, per via di questi crediti non esatti sono state salvate dallo Stato che ha visto aumentare il suo debito in maniera esorbitante.
È un debito estero, di persone, di famiglie, di imprese.
Questo è un nodo fondamentale da cui partire, per iniziare a parlare di qualcosa di diverso che non siano le balle che ci raccontano in televisione.
E se la televisione non l’accendete già più, connettetevi al pc e ricercate qualcos’altro, quello che magari vi stimoli il cervello, e dopo aver consultato diverse opinioni, plasmate la vostra.
Solo così non saremo un gregge, ma un popolo libero, vessato, violentato, offeso, umiliato, impoverito, raggirato, ma libero.
Concludo ringraziandovi per l’attenzione fin qui concessami, con la speranza che i pochi, ma cruciali punti trattati siano bastati per accendervi una lampadina di curiosità e che funga da sprono per approfondire e capire qualcosina in più in merito a questa benedetta crisi, che crisi non è, se non crisi di sistema.
Dario Zeoli