L’inizio di una nuova stagione, ancora di più quando si fa portatrice di emozioni e colori radicalmente diversi – rispetto a quelli che hanno segnato la precedente – è paragonabile all’incertezza che accompagna un cammino ignoto, un viaggio oscuro verso una meta mai esplorata, l’approccio con una vergine esperienza, lavorativa, sentimentale, di vita. E questo diventa ancor più vero al cospetto dell’autunno.
I passi si muovono nel buio, scanditi dal rumore del timido ed acerbo timore, il cuore pulsa in maniera “diversa”, come accade quando lui, repentinamente, per primo palpa la tangibile possibilità di imbattersi in qualcosa di “nuovo”.
Che si tratti di un’emozione, di un amore, di un’inaspettata e pertanto più gradita scoperta, di un cambiamento o di qualsivoglia altro elemento, riconducibile alla voce “evoluzione”, sarà solo l’evolversi dei passi a svelarlo, allorquando avranno palesato la caparbia ostinazione necessaria per vestirsi del temerario coraggio indispensabile per raggiungere la meta.
Perché la vita evolve, anche se rimaniamo immobili.
La vita ci protende verso un perenne ed inarrestabile movimento, anche quando restiamo inermi, avvolti nel labile e fallace mantello della sicurezza di “essere fermi”, mentre si aspetta di conoscere il progredire di una situazione, un verdetto, una risposta, l’esito delle analisi, il risultato di un esame, la telefonata piuttosto che il messaggio di quell’idiota che sembra trovare piacere nel farci volteggiare su un lancinante tappeto di chiodi e filo spinato, in ogni caso, sospesi nel vuoto, come lampadari legati al soffitto da un avventizio ed esile filo che si chiama “attesa”.
L’attesa è tutt’altro che inerzia, bensì un moto perenne, un vortice di incontrollabili ed incessanti emozioni che, in maniera assai più irreversibile del più marcato e deciso dei passi, decreta la direzione che intendiamo imprimere al nostro cammino.
L’autunno è l’incarnazione dell’attesa.
E’ la stagione in cui la confusione e l’ozio estivo si tramutano in “voglia di fare”, l’indecisione in determinazione, la delusione in rassegnazione, l’ingiustizia in grinta, la rabbia in energia positiva, la consapevolezza che l’estate è finita nella strenua combattività necessaria per affrontare il nuovo imminente inverno, la precarietà in progettualità, l’amore in opportunità, l’insicurezza in consapevolezza delle proprie potenzialità.
Nessuno può anzitempo dedurre come evolverà la stagione, così come il proprio cammino, di cosa saprà farsi portatrice e di cosa, invece, vorrà e saprà privarci e verso quale mete confluirà la personale ed ignota avventura di ciascuno di noi.
Eppure, in ciascuno di noi, vige la certezza che anche la più crespa e raggrinzita delle foglie, rigenerata da nuova linfa, ritornerà a tingersi del verde più convinto e rutilante.
Prima arriveranno la pioggia, la neve, i pomeriggi che rapidamente sbiadiscono nel buio della sera, l’impersonale calore preso in prestito da un infeltrito maglione di lana, ma poi, dopo tutto, nonostante tutto, ritornerà “il verde”.
Ed è nella nuda ed elementare semplicità di questo pensiero che va ricercata tutta la dinamica inerzia di l’autunno si fa portatore, unitamente a quell’elastica e solerte attesa che lascia prepotentemente irrompere nelle nostre vite.
Alcuni ne sono consapevoli, altri no, ma questo è imputabile alla soggettiva sensibilità di ciascuno di noi.
Del resto, non tutti sono in grado di carpire le farfalle bianche che si destreggiano nell’aria insieme alle foglie autunnali.