E’ più facile fermare il sole che fermare la Storia, dice un vecchio proverbio. Intendiamoci bene: la Storia come flusso temporale di eventi, non come certo favolosa entità metafisica che compie un destino.
Ecco, secondo me dovremmo prima di tutto intenderci sul significato delle parole. “Stato-nazione”, parola chiave dell’intero ciclo scolastico e universitario italiano.
Cosa significa?
Non c’è bisogno di scomodare Hobsbawm o Gellner per “intuire” che la “nazione” – questo “monstrum” metafisico non ben definito, ampiamente abusato nell’ideologia politica dell’Ottocento – segue gli Stati, non li precede (e forse sarebbe anche più corretto e rigoroso usare il sostantivo “cittadinaza”, nel senso occidentale del termine).
Eppure frasi del tipo << compimento dell’unità nazionale >> e simili invenzioni, li troviamo ancora usati ed abusati non solo dalla politica, ma (cosa gravissima) dalla storiografia scolastica e universitaria. Come se gli eventi storici seguissero un Destino metafisico da “compiere”, scritto dall’alto, millantando fantomatiche coscienze nazionali, addirittura dal medioevo.
Ma davvero si vorrebbe basare lo studio scientifico della storia su favoleggianti Destini da compiere o su vattelappesca “nazioni” (metafisiche) ante litteram? Sul millantare presunte coscienze nazionali attribuite di volta in volta addirittura a Federico II di Svevia, Dante, Petrarca e così via? Per favore, siamo seri.
A meno di non dover ammettere (e qui si ammette…) che la storiografia e il pensiero politico italiano siano rimasti ancora alla “visione” ottocentesca sulla Storia come “processo” (metafisico) di “compimento” dell’unità nazionale e della sua indipendenza o dello Stato come espressione della Nazione (metafisica)…
Ovunque in Europa e nel mondo assistiamo alla rinascita dell’orgoglio identitario, schiacciato soprattutto dagli Stati di fine Ottocento (e massimamente dal debole e non proprio innocente Regno d’Italia, privo in realtà di una identità “nazionale”), che imponevano ad una popolazione per la maggior parte analfabeta, una identità “dall’alto”, relegando nel disprezzo quella vera, del popolo, del territorio.
Siamo troppo smaliziati per credere ancora alla “fola” della piena sovranità e ‘”indipendenza” nazionale, soprattutto delle “medie potenze” nei confronti delle “grandi potenze” (E. Di Rienzo docet…), questo senza voler dire che non sia un “obiettivo” – utopistico – auspicabile… Ed anche qui non occorre risalire ab ovo alla Lega delio-attica o al ruolo dell’Aragona nei Vespri siciliani, per dimostrare come le varie “primavere dei popoli”, non ultima la (finta) “primavera araba” abbiano ben concreti ed esterni “organizzatori”…
Forse bisogna definitivamente “smontare” determinati schemi mentali (o “frames“, per dirla con termine tecnico) duri a morire e leggere gli eventi con spirito – mi verebbe da dire, con metafora husserliana – “fenomenologico”, trascendendo tutti quegli “schemi” mentali, frutto più dell’educazione e della cultura (in senso antropologico) che della “realtà effettuale”…
Se la politica continuerà a “incoraggiare” (leggi: sovvenzionare) finti dibattiti dove in realtà non si analizza un problema storiografico, ma si celebra retoricamente un dogma, se la politica continuerà ad agevolare le carriere accademiche e l’esposizione mediatica di professorini mediocri, più intenti ad esporsi in tv e a celebrare la retorica “ufficiale”, che chini sulle sudate carte, la cultura italiana non arresterà il proprio inesorabile affondamento, trascinandosi dietro il Paese.
Al di là del risultato, ciò che sta avvenendo – in modi molto diversi, ma con spirito in qualche modo simile – in Scozia, in Catalogna, nelle ex “Due Sicilie”, nei Paesi Baschi e così via, è indice di una resurrezione incoercibile dell’orgoglio identitario, mortificato e tenuto ingiustamente ai margini nell’ultimo secolo e mezzo. I tempi sono cambiati, bisogna prenderne coscienza, e se si spera di poter mantenere in piedi un Paese come fosse una baracca, basandosi ancora su un’ideologia politica ottocentesca – sì, avete letto bene, “ottocentesca” (e qui penso soprattutto allo Stato italiano) -, poggiata su una storiografia discutibilissima, per non dire gravemente “invalida”, si corre il rischio di andare incontro al suicidio politico.