Sembra la trama di un giallo, invece è una storia partorita dalla vita reale.
L’esame del Dna sui reperti della strage di via Caravaggio avvenuta nel 1975 a Napoli, nell’ambito della quale una famiglia di tre persone fu massacrata in un appartamento, ha portato all’individuazione sul luogo del delitto di tracce dell’imputato che fu assolto con sentenza definitiva, Domenico Zarrelli, nipote di una delle vittime.
E’ emerso dagli accertamenti della polizia scientifica eseguiti su delega della procura.
Il caso sarà archiviato, non potendo procedere nei confronti di un indiziato già assolto.
Le tracce sarebbero state individuate su diversi reperti, tra cui uno strofinaccio insanguinato e mozziconi di sigaretta. Gli accertamenti, eseguiti dalla polizia scientifica di Roma e di Napoli, sarebbero stati ultimati da circa un anno, ma solo ora sono emerse conferme dalle maglie dello stretto riserbo imposto dagli inquirenti. Un riserbo che si spiega anche con il fatto che l’indiziato non può esercitare il diritto di difendersi in un processo.
Vale infatti il principio del ”ne bis in idem”, ovvero il divieto di processare due volte una persona (in caso di assoluzione) per lo stesso fatto.
Il delitto avvenne nella notte tra il 30 e il 31 ottobre 1975 in un appartamento di via Caravaggio, nella zona alta del quartiere Fuorigrotta.
Furono uccisi, probabilmente con un corpo contundente mai rinvenuto, Domenico Santangelo, 54 anni, capitano di marina mercantile in pensione, la sua seconda moglie, l’ostetrica Gemma Cenname, 50 anni, e Angela Santangelo, 19 anni, figlia dell’ex capitano. Il massacro fu scoperto l’8 novembre dalla polizia, alla quale si erano rivolti i familiari delle vittime preoccupati per l’assenza di notizie, dopo che i vigili del fuoco erano riusciti a entrare nell’abitazione. I cadaveri di marito e moglie erano nella vasca da bagno, dove fu rinvenuto anche il cane Dick, ammazzato anch’esso dall’assassino.
Per il triplice omicidio fu accusato Domenico Zarrelli, appartenente a una nota famiglia di professionisti che, tra l’altro, da detenuto prenderà la laurea in legge ed eserciterà l’attività di penalista.
Il processo di primo grado, fondato su indizi, si concluse con la condanna all’ergastolo.
L’imputato fu assolto in appello a Napoli e, dopo l’annullamento della sentenza da parte della Cassazione, nuovamente assolto con formula piena dalla Corte di Assise di Appello di Potenza.
Sentenza confermata nel 1985 dalla Cassazione.
In seguito Zarrelli ottenne della Stato il risarcimento per danni morali e materiali. Il caso è stato riaperto in seguito a un esposto anonimo inviato in procura nell’ottobre 2011.