La storia di Paolino Avella non l’ho appresa da “cronista”, ma l’ho vissuta da studentessa, perché quel triste sabato dell’aprile del 2003, c’ero anche io tra quella sfilata di zaini che frettolosamente abbandonavano il Liceo Salvatore Di Giacomo di San Sebastiano al Vesuvio per dirigersi frettolosamente verso il tanto atteso week-end.
Paolino, quelli che frequentavano più spesso il vicoletto sito di fronte al viale d’ingresso del liceo rispetto ai banchi, quindi “gli habitué dei filoni”, lo conoscevano tutti.
Io ero tra quelli, lui era tra quelli.
Quel giorno, però, entrambi avevamo deciso di dare priorità alla scuola e, quindi, ci incrociammo all’uscita, io in macchina con un amico, lui in sella allo scooter insieme ad un amico: “Ciao ragno!”
Questo era il soprannome di Paolino.
Questo fu il nostro ultimo saluto.
Giusto il tempo di percorrere qualche metro di strada e Paolino e il suo amico erano tramortiti al suolo, circondati da amici e coetanei e tanta incredula, attonita e sconvolta disperazione.
Tutti, proprio tutti i ragazzi presenti sul posto hanno estratto il cellulare per chiamare un’ambulanza, durante quei concitati e sofferti attimi.
Dopo scoprimmo che Paolino e il suo amico erano stati affiancati da due rapinatori, anche loro in sella ad uno scooter, che gli intimavano di consegnargli il motorino.
In quei momenti, la cronaca insegna che la vita assume le forme della variabile imprevedibile e può accadere davvero qualsiasi cosa.
Paolino si è lasciato guidare dall’istinto primordiale: quello di scappare al cospetto di ciò che ti incute paura. Durante quella fuga, nel momento in cui ha girato la testa per sincerarsi di aver scongiurato il pericolo, si è schiantato contro un albero, uno di quelli che costeggia Via Matteotti.
L’impatto per Paolino fu violentissimo, mentre il suo corpo funse da scudo per il suo compagno di sventura che quel giorno ha perso un amico, ma non la vita.
Paolino, invece, da quel giorno, non ha più calpestato questa terra ed è diventato uno di quei nomi capaci di rievocare emozioni e suggestioni, ogni volta che ritorna in mente, in un giorno come oggi, al cospetto di una notizia come quella diffusa oggi: uno dei due malviventi, Luigi Minichini, 34 anni, torna in carcere per scontare una pena residua di nove anni.
Questa mattina, infatti, i carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata, lo hanno arrestato: destinatario di un’ordinanza di carcerazione emessa dalla Corte di Appello di Napoli, appena venuto a conoscenza dell’esito si era reso irreperibile; era infatti latitante da giugno scorso. Accusato di omicidio colposo e tentata rapina aggravata è stato localizzato e bloccato in un’abitazione privata.
Oggi, al cospetto di questa notizia, mi sono resa conto che mai e poi mai, 10 anni fa, mentre insieme ai ragazzi del liceo, vivevo quei drammatici e tristi momenti, avrei potuto immaginare che, un giorno, sarebbero state le mie mani a riportare questa notizia.
E, a distanza di 10 anni, non ho potuto fare altro che concludere che in tutte le vite che si sono più o meno intensamente imbattuto in quella del “ragno”, oggi, non regna felicità, ma ancora rabbia e sincero dolore, perché anche Paolino meritava di scoprire chi e cosa sarebbe diventato “da grande”.