In tutto il mondo è agosto, ma non per tutti questo afoso mese s’impregna di salsedine.
Per certi ragazzi, per i nostri ragazzi, per gli “italiani part-time” è difficile stabilire se, quando e come è vacanza.
Generalmente, volano via dal nostro Paese durante l’inverno, con una valigia dalla quale trasuda la gravosa consapevolezza che non staranno via per una stagione, ma è più giusto asserire che, loro per primi, non sono in grado di stabilire quale sarà l’ultima stagione che vivranno lontano dalle radici dalle quali sono germogliati.
Perché, quando lasci l’Italia in cerca di un futuro migliore, non sai mai cosa è meglio augurarsi: se riuscire a resistere ed affermarsi lì dove la vita sa essere meno infima o se tornare e racimolare un brandello di fortunosa sistemazione, pur di non rinunciare al valore supremo che conferisce senso e pathos all’esistenza: gli affetti.
Così, quando giunge l’estate il cielo di un italiano sbarcato all’estero, si infittisce di pensierose nubi: la famiglia si ritrova lì, in quella casa al mare che, da sempre, ospita tuffi, cene, risate, analogamente, gli amici, come ogni anno, organizzano la solita, ma mai scontata razione di serate in disco, aperitivi in spiaggia, corse che terminano con un “chi si tuffa per ultimo è un cretino” e fotoscatti che immortalano l’essenza più vera di quell’amicizia che non sbiadisce al tramonto e che dura molto di più di una sola stagione.
Di contro, le consapevolezze che derivano dall’altra vita, quella nuova, quella che parla un’altra lingua e che percepisce in maniera profondamente diversa il concetto di “vacanza”.
Lavorare e guadagnare: questo è ciò che conferisce un senso a quella scelta di vita.
D’altro canto, sull’altro piatto della bilancia è ubicato ciò che conferisce senso alla vita, il suo più intenso, pieno e gioioso senso.
Difficile decidere il da farsi, ancor più ostico, talvolta, diventa riuscire a ritagliare i giorni utili nei quali incastrare partenza, famiglia, amici, ritorno.
Perché quantificare il tempo da assegnare ai sentimenti, di per se, rappresenta un compito quasi utopistico da raggiungere.
Riuscire a circoscrivere quel tempo nel tempo imposto da chi ha tutt’altra percezione del tempo, soprattutto di quello che si riserva alla mera “improduttività” palesa e sintetizza tutta l’amara e feroce crudeltà imbastita nella condizione dell’“italiano a metà”.