Tel Aviv avrebbe deciso un cessate il fuoco parziale, di 12 ore, per ragioni umanitarie.
La proposta era stata avanzata dopo le pressioni degli Stati Uniti e del segretario dell’Onu Ban Ki-moon, seppure la tregua richiesta dalle Nazioni Unite fosse di sette giorni. Per il momento la Palestina “dovrà accontentarsi” di respirare bloccate di relativa serenità per mezza giornata.
Il numero dei morti palestinesi supera le 830 vittime, la gente cerca di arrancare un fortunoso rifugio dove capita.
Secondo alcuni analisti, il premier Netanyahu sarebbe disponibile a discutere. Anche perché il numero di soldati morti ha comunque una ricaduta sulla società israeliana.
Il premier, però, avrebbe enormi difficoltà a far digerire la cosa alle ali più estreme del suo esecutivo.
Nella striscia regna la disperazione.
Ancora ed incessantemente.
“Guardate qua” – dice un uomo. – Non c‘è niente di peggio. Niente docce o bagni, niente di niente. Nemmeno gli animali potrebbero vivere in questa sporcizia”.
In un attacco di Tsahal, lo scorso giovedì, su di una struttura dell’Onu gremita di profughi sono morte almeno 16 persone. Nonostante i rischi, però, i civili continuano a cercare rifugio in queste strutture.
Adesso dispongono di 12 ore per tentare quantomeno di trovare un rifugio più sicuro.
Provate a chiedervi come trascorrereste queste 12 ore in una terra in preda a morte, desolazione, distruzione e disperazione.
Impossibile scrollarsi di dosso l’atroce consapevolezza che potrebbero essere le ultime ore in cui pensieri, voce ed emozioni vengono espresse attraverso un corpo, di carne ed ossa, alimentato dalla paura e tenuto in vita dalla casualità.
Perché è chiaro che, da quelle parti, vivere o morire è la risultante finale di più o meno fortunose e maldestre combinazioni.
Ecco, perdendosi nel vano ed improduttivo tentativo di trovare una risposta, si arriva, in realtà, solo a percepire e concludere che, all’interno di una mezza giornata, non può essere frettolosamente agglomerato l’intero valore della vita umana.