L’estate è il periodo dell’anno in cui gli innamorati del calcio, i tossici del pallone, i malati cronici di partite e programmi satelliti correlati, patiscono terribili ed insopportabili crisi d’astinenza.
Proprio per questa ragione è nato il “fantamercato“.
Lo sport nazionale più praticato e diffuso, a tal punto da costringere, prima o poi, chi di dovere a tramutarlo in disciplina olimpica.
Una sorta di tiro con l’arco virtuale dove vince chi la spara più grossa e non chi centra il bersaglio o gli conficca una freccia dritta in petto.
Nessuno mai ci prende, se non quando la trattativa è, ormai, cosa fatta.
Il primo a fiutare la notizia, può essere chiunque: un inserviente, un tassista, un mendicante, un cameriere.
Raramente, quasi mai, “il primo” è un giornalista.
Perché, “quelli che fanno le trattative” sanno come, dove, quando e perché tenersi alla larga dai signori della carta stampata e, di contro, hanno altresì chiaro come, dove, quando e perché, invece, consentirgli di fiutare o semplicemente annusare, la notizia.
Tutto ciò che intercorre tra la fine del campionato è l’ufficialità di un acquisto è il fantamercato.
Ovvero, gli intrecci, le illazioni, le ipotesi, i retroscena, i voli pindarici, gli approfondimenti, le interviste ad amici, parenti, conoscenti, procuratori, dirigenti, raccattapalle, allenatori e confessori del presunto acquisto, oltre che le intercettazioni ambientali utili a ricostruire gli spostamenti del “Mister X” in questione.
C’è chi decide di abbracciare la corrente di pensiero del “più elevato è il numero di nomi sparati, maggiore è la possibilità di beccarne almeno uno”.
C’è chi, invece, a partire dall’ultimo triplice fischio che decreta lo stand by del campionato, fino agli ultimi sospiri del mercato estivo, decide di battere una pista, solo una.
E seguita a tenerla in piedi, anche davanti all’ovvietà del fallimento, fino a sfociare nell’inverosimile e nel paradossale. Fino a coprirsi di ridicolo ed autocostringersi a sguazzare in fiumi di sudato imbarazzo.
di forza e soprattutto commette, sistematicamente, il madornale errore di affrancargli l’etichetta del fenomeno o del brocco.
O bianco o nero.
O top o flop.
Azionando, così, quella roulette russa che arresta la sua sentenziosa corsa solo a fine stagione, consegnando l’ennesima toppa con la quale sarebbe opportuno curiosi la bocca, onde evitare l’ennesimo smacco oppure, il tempo galantuomo, cuce una medaglia al valore accanto al taschino della giacca, invecchiata, ma ancora in grado di fare la sua ricca figura, dell’intrepido cronista che ha avuto lo sfrontato coraggio di metterci la faccia e prendere una posizione.
Fortuna o competenza?
Casualità o conoscenza?
Attendibilità o grossolaneria?
Nessuno può stabilirlo con assoluta certezza.
D’altronde, siamo onesti, neanche c’importa realmente stabilirlo, perché questo valzer di nomi, ci affascina ed appassiona terribilmente e, soprattutto, ci tiene dannatamente compagnia, narcotizzando “la nostalgia del pallone”.
Del resto, questo è ciò che impasta, fomenta e gonfia l’attesa che introduce il ritorno del calcio giocato.
Questo è il bello del Calciomercato, o meglio, del Fantamercato.