Palermo, Via d’Amelio, 19 luglio 1992.
L’esplosione di un’auto carica di tritolo uccide Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.
E non solo.
Quel giorno vengono fatte saltare in aria la legalità, la giustizia, la concreta e tangibile speranza di ripristinare uno Stato ed un’ideologia di Stato meno corrotto e più civili.
La mafia, con la complicità di quello “Stato falsato” che impropriamente occupava le poltrone del potere, distruggono la vita di un uomo onesto e il lavoro di un magistrato intrepido, consegnando agli italiani l’atroce e rabbiosa consapevolezza che la violenza troneggia su quegli ideali che si rivelano “scomodi”, mostrandosi celermente pronta a “togliergli voce e fiato” allorquando palesano la tangibile possibilità di riscatto e cambiamento.
Ci ha creduto Palermo, nell’operato di quell’uomo, ci ha creduto tutta l’Italia che Falcone e Borsellino potessero essere “gli uomini della svolta”, ci ha creduto anche la mafia ed è per quello che ha spezzato le loro vite per arrestare quell’ascesa di legalità, capace di radere al suolo, con armi incapaci di sortire ferite fisiche, quel sistema a base di pizzo, pizzini, “Baciamo le mani”, “Io non so niente, non ho visto niente”, bambini sciolti nell’acido e molto, molto altro.
Il dovere di chi crede che l’operato di un uomo giusto come Paolo Borsellino non possa e non debba considerarsi dissolto nell’aria, insieme alle polveri esplosive, quel tragico giorno di 22 anni fa, è dimostrare che quel sacrificio non è stato vano e che gli ideali che quell’encomiabile uomo ha saputo radicare nella parte sana della popolazione italiana sono tutt’altro che deceduti.
E ciò può e deve essere possibile, semplicemente, applicando, nella mera e spicciola vita quotidiana, i semplici e dignitosi precetti di legalità di cui quell’eroico e giusto uomo ha saputo e voluto farsi portatore finanche a discapito della sua stessa vita.
Questo è ciò che conferisce un senso a questo giorno ed, ancor di più, a quella assurda ed agghiacciante morte.