Ashad è uno srilankese come tanti.
Uno dei tanti extracomunitari che incrociamo ad un semaforo o che scorgiamo tra collane ed accendini.
Ashad rappresenta una delle scoperte più preziose della mia vita.
Ho conosciuto Ashad grazie al fascinoso richiamo sprigionato dal bagliore delle pietre che adornano il suo piccolo mondo: un fazzoletto di mura e magia, ricoperto di collane, orecchini, bracciali. E dai sorrisi di Ashad.
Impossibile, per una donna, non lasciarsi sopraffare dell’effimera vanità che con disarmante millanteria rapisce gli occhi, azzera gli impegni e stravolge i piani.
Collane, bracciali, orecchini, fili di pietre e swarovski, anelli, portachiavi, fermacapelli, forcine, sciarpe, foulard e mille altre diavolerie che, talvolta, per noi donne, diventano quasi più indispensabili dell’aria che respiriamo, raccolti lì, in uno spicchio di colori, mentre fuori troneggia la solita caotica routine.
E poi c’è Ashad, un ragazzo garbato, cortese, accomodante, con un modo di fare così diverso rispetto a quello che incarna la politica delle “nostre” commesse, quelle che ti tampinano con invadente impazienza, trasmettendoti tutta la loro ansiosa priorità di vendere, incapaci di comprendere che, quella snervante condotta, altro effetto non sortisce se non quello di consegnarti l’imminente voglia di squagliartela.
Per ogni donna, lo shopping è un momento di relax e leggerezza e risulta paradossale che una donna, proprio una donna, si riveli incapace di comprenderlo.
E, invece, Ashad si.
Lui lo sa, ha imparato a capirlo o forse per lui un cliente è solo un ospite da accogliere con garbo.
Puoi trascorrere giornate intere a fantasticare tra fili di perle e cercare tra una miriade di anelli quello che ti calza meglio e Ashad sorride sempre, non ti mette alcuna fretta.
Quella prima volta, i miei occhi caddero immediatamente su quei bracciali, a forma di cerchio, incastonati l’uno nell’altro.
“Non sarebbe più comodo se fossero divisi, così una decide quanti metterne?” – Chiesi ad Ashad. – “Anche io la penso come te, ma il mio padrone non la pensa come noi…” Replicò lui.
Bastò uno sguardo per capirci e per leggere nei rispettivi occhi quello che io non sapevo tradurgli in srilankese e quello che, di contro, lui non era in grado di esprimere in italiano.
Ci raccontammo un sacco di storie, io e Ashad, riguardo al “mio” e al “suo” padrone, abbiamo riso tanto, perché i nostri occhi hanno reciprocamente riconosciuto quell’esperienza che risiede nelle palpebre di chi ne ha viste abbastanza ed è quindi munito di quel lungimirante dono che consente di non prendere certi discorsi troppo sul serio.
Quando giunse il momento “di tirare le somme”, lo scontrino fiscale rilasciatomi da Ashad mi consegnò una sorpresa, inaspettata, spontanea, commovente: “Paghi tutto a metà prezzo, ora e tutte le volte che tornerai a trovarmi, perché sei amica mia!”
Un gesto che spiazza e stupisce, perché mai, nessuno, neanche i famigerati “napoletani dal cuore d’oro”, mi hanno mai riservato una simile e perpetua accortezza.
Tornare a perdermi nel suo mondo fatto di orecchini e racconti, più e più volte, mi ha consegnato tanti momenti di pura spensieratezza, oltre che accessori di bigiotteria, eppur “diversamente preziosi”, ma, soprattutto, mi ha consentito di capire cosa ha spinto Ashad a fornirmi quel “buono sconto illimitato”.
Tante volte, mentre Ashad rispondeva alle mie infinite e curiose domande, sul suo Paese, sulla sua vita qui, qualche sagoma prendeva forma sulla soglia del negozio, per poi, rapidamente, indietreggiare, quando scorgeva il sorriso di Ashad.
Allora i suoi occhi, nei quali, tutte le volte, rilevavo una navigata dimestichezza nel costeggiare quelle emozioni, ritornavano su di me e prima che Ashad riprendesse a parlare, il suo sguardo, sembrava volesse dirmi: “Ecco perché meriti “lo sconto”!”
Un giorno, poi, accadde che quando entrai nel piccolo e magico mondo di Ashad, non trovai il suo amichevole sorriso ad accogliermi, ma quello di un ragazzo scheletrico e con il volto maculato dalla vitiligine.
Gli chiesi di Ashad, lui non parla l’italiano, non capisce cosa dico.
Telefonò a qualcuno, farfugliò parole che non potevo capire.
Mi fece segno di aspettare.
Quella fu la prima ed unica volta che i miei occhi si scoprirono incapaci di amoreggiare con l’iridescente magia che tappezza le pareti di quel microscopico ed esoterico, in quanto sopraffatti da una sincera preoccupazione.
Poco dopo giunse un uomo, robusto, ma mansueto.
Mi accolse con un sorriso e una calorosa stretta di mano, mi spiegò che Ashad era partito, era tornato frettolosamente a casa, in Sri Lanka, dopo che gli era stato reso noto che sua madre stava male.
“Compra pure tutto quello che vuoi, alla ragazza bionda con gli occhi azzurri che fa sempre tante domande, dobbiamo fare il 50% di sconto, ci ha detto Ashad. Tu sei amica sua e sei anche amica nostra, non preoccuparti!”
In quel pass tramandato di mani in mani che mi spalanca le porte di quel mondo estremamente semplice ed infinitamente affascinante, riscopro, tutte le volte, l’essenza dell’essere speciale insita nel cuore di Ashad e di quelli come lui.
I nomi dei miei “nuovi amici” sono per me impronunciabili, così hanno deciso che per me, solo per me, loro si chiamano “Ashad”.