Un gregge di pecore che si trascina lungo le strade del mondo con il capo riverso sugli Iphone, pantaloni dal cavallo sempre più basso e capigliatura sempre più protesa verso il cielo o nervosamente ed ordinatamente fonata, mesciata, shatushata, guarnita da un doppio taglio o da basette che si fondono con i primi germogli di barba o da disegni e ornamenti più congeniali ad una torta, dread, rasta, piercing, tatuaggi, tribali, colorati, improbabili ed improponibili, ubicati nei distretti corporei più improbabili ed improponibili, shorts – quelli che ai nostri tempi si chiamavano “pantaloncini” – inguinali, ascellari, in estate così come in inverno, labbra rosso fuoco o fuxia fluorescente, zeppe che emulano grattacieli, tacchi sadomaso, scarpe da ginnastica modello-Rocky Balboa, t-shirt asimmetriche, irregolari, sregolate, mimetiche, animalier, griffate, scollatissime, trasparenti, in pizzo, ornate da stampe ribelli, da frasi provocatorie e trasgressive, orecchie intubate dagli IPod, orecchini e collane vistosi, sfarzosi, eccessivi, borsa griffata, più o meno originale, bene in mostra, sempre e rigorosamente, le borchie, sulle converse, sui bracciali, sulle maglie, ovunque. Questo e molto altro sono loro, la nuova generazione: quella di Facebook, Whatsapp, i selfie, instagram, i tag, le macchine 50, quella avvezza a scattare foto in ogni momento della giornata, in bagno, tra i banchi di scuola, accanto ad una bottiglia di Belvedere portata in gloria come un trofeo, durante la serata mondana – o cool, come dicono loro – di turno, in compagnia dei loro “compagni d’avventura o di sventura o di sciagura”, quella delle baby prostitute e delle baby gang.
Quei ragazzi che fanno sfoggio di tutta la loro grezza maleducazione, tutte le volte che si scontrano con la più anziana generazione, quelli che sfrontatamente dimostrano che per lo conta solo apparire e che vivere senza regole è l’unica regola alla quale attenersi.
Quelli sui quali, violentemente, grondano una marea di pregiudizi, giudizi, sentenze, prediche e condanne, morali, etiche, ideologiche, pedagogiche, ideologiche e sociali.
Eppure, loro, proprio loro, sono “i nostri ragazzi” e hanno tanto e tante cose da dire, raccontare, pianificare, sognare e progettare.
Loro, proprio loro, sono l’humus che nutre la terra e dal quale germoglierà il futuro, un nuovo futuro, migliore o peggiore, sarà il tempo a rivelarlo, nel frattempo, possiamo provare a capirlo scoprendo verso quale direzione guardano i loro occhi.