Sono 7.200 i minori stuprati, ogni anno, in India e secondo uno studio governativo del 2007, basato su un campione di bambini intervistati, il 53% ha ammesso di aver subito “uno o più abusi sessuali di diverso tipo”.
Il problema della violenza contro donne e minori in India “vanta” antiche origini, ma solo negli ultimi mesi è stato erto a tematica meritevole dell’attenzione dei media di tutto il mondo.
Lo stupro e la conseguente uccisione di una studentessa su un autobus a Nuova Delhi, da parte di sei uomini, verificatasi lo scorso dicembre è stato l’ennesimo episodio d’inaccettabile violenza dal quale è scaturita una convinta ed insindacabile esplosione di rabbia, in diverse città dell’India con la conseguente divulgazione della storia del tragico epilogo di quella giovane vita su giornali e tv dell’intero pianeta.
Ciò nonostante, continuano a verificarsi e registrarsi analoghi e riprovevoli episodi: bambine violate e violentate che se trovano il coraggio di denunciare gli abusi subiti, vengono sottoposte al dubbio infame della polizia e delle istituzioni, complici passivi di questo scempio.
Una vergogna che si consuma, si protrae, dilaga e si ripete in proporzioni allarmanti, nella case, nelle scuole e nelle strutture di cura e di cui le istituzioni governative non sanno farsi carico.
Quelle flebili richieste di aiuto che le piccole vittime ripongono nelle mani delle istituzioni sono ulteriormente violentate e ignorate dalla polizia e dal personale medico, incapaci di ascoltare o che non credono alle loro denunce, ma, anzi, infieriscono su di loro infliggendo ulteriori maltrattamenti e denigrazioni, come il “finger test”, la “prova del dito”, umiliante, inutile pratica molto spesso utilizzata dai medici indiani per verificare l’eventuale violenza sessuale: un “esame” privo di valore scientifico e doppiamente traumatico per una bambina, abusata nuovamente da chi dovrebbe, invece, prendersi cura di lei.