La storia di Raffaele Santoro, poliziotto della compagnia di Casapesenna, fortuitamente intrecciatasi con quella della piccola Emanuela, la bimba abbandonata lo scorso sabato, nei pressi di un bidone della spazzatura a Villa Literno, propone due stralci d’umanità profondamente diversi, due modi di percepire lo status di genitore ubicati ai poli estremi.
Due realtà opposte e contrapposte che vivono nell’ordinario esondare dei nostri giorni e che poco o nulla hanno in comune. Eppure, in questo caso, attraverso quell’embrionale ed indifeso vagito di vita, si sono susseguiti, passandosi, involontariamente, il testimone, consegnando all’opinione pubblica due profili agli antipodi e che tanto raccontano della nostra società.
Una madre che frettolosamente abbandona la sua bambina, infagottata in una busta per la spesa; un poliziotto che soccorre quel batuffolo di donna, praticandole manovre respiratorie per cercare di rianimarla prima dell’arrivo dei soccorsi, rimanendo completamente travolto dalla dolcezza della piccola Emanuela.
Da sabato scorso, quel poliziotto, quell’uomo, quel padre, dice di sentire la sua vita cambiata: «Non faccio che pensare a lei, sento come se fosse mia figlia» e annuncia: «Voglio adottare Emanuela e farò di tutto per poterla avere in casa con me, per poterla crescere insieme a mia moglie e mio figlio».
A quell’amorevole papà di nome Raffaele, il crudele destino ha portato via Nicola, il suo primogenito, morto per mano di un cancro alla testa.
Nonostante Raffaele sia padre di un altro bambino, sente forte il desiderio di colmare il vuoto lasciato nel suo cuore e nella sua vita da quella prematura crepa di morte, adottando quella bambina, frettolosamente ripudiata dalla madre naturale.
Ha deciso difatti d’intraprendere la via dell’adozione: «Mi sembra di vivere in un film, i fatti mi hanno travolto ma, per la prima volta, dopo la morte di Nicola, ho sentito che il vuoto che ho dentro poteva rimpicciolirsi. Per me è stato così naturale intervenire, che si è creato immediatamente un rapporto speciale. È la forza di Emanuela che si è aggrappata alla vita e che ha acceso la speranza di una felicità dimenticata. Con mia moglie Francesca faremo di tutto per essere i genitori della piccola. Lei è una «tigre» e mio figlio, ad appena otto anni, non fa che dire di volere Emanuela come sorella».
Sua moglie Francesca analogamente spera di poter crescere la bambina salvata dal marito, ma comprende la necessità di essere cauti: «Dobbiamo mantenere i piedi per terra, poter crescere Emanuela sarebbe per noi un dono straordinario, ma sappiamo che l’iter è lungo e complesso». Intanto i coniugi , continuano a chiamare in ospedale per sincerarsi sullo stato di salute della piccola, ancora ricoverata presso la clinica Pineta Grande di Castel Volturno.
Intanto, quei coniugi, si stanno comportando come dovrebbero fare due genitori. Sempre.