Il 2 novembre 2004, nella località di Ferruzzano, frazione di Bruzzano Zeffirio – provincia di Reggio Calabria, il giovane Paolo Rodà, di appena 13 anni, fu ucciso in un agguato di ’ndrangheta assieme a suo padre Pasquale Rodà.
La famiglia Rodà si era recata al podere per prendersi cura delle api e degli animali. All’arrivo del fuoristrada, esplosero alle spalle diversi colpi di lupara caricati a pallettoni. Il lunotto posteriore del veicolo fu polverizzato. Paolo, che si trovava nella traiettoria dei proiettili, non riuscì a salvarsi. Suo padre venne ferito alle gambe e successivamente ucciso con un colpo alla testa.
Un altro figlio, Saverio Rodà di 17 anni, riuscì a fuggire e riportò solo ferite lievi.
L’omicidio si inserisce nell’ambito della Faida di Motticella, un conflitto interno alle cosche della Locride (Africo, Bruzzano Zeffirio) che coinvolgeva le famiglie Rodà, Tàlia, Mollica‑Morabito, Palamara e Scriva.
Quella mattina sancì un “punto di non ritorno”: un bambino venne ucciso come parte della guerra tra clan, segnando la brutalità del fenomeno mafioso.
A seguito dell’omicidio salirono alla ribalta le inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, che avviarono un filone investigativo contro il clan Tàlia‑Rodà. Nell’operazione furono coinvolti anche esponenti politici locali e vennero disposte numerose misure cautelari.
La morte di Paolo Rodà non è soltanto la tragedia di una famiglia: è il simbolo dell’innocenza travolta dalla criminalità organizzata. Un bambino che, andando a svolgere lavori agricoli con il padre, è stato brutalmente assassinato per logiche mafiose.











