Il 2 settembre del 2015, il corpo senza vita di Aylan Kurdi, un bambino siriano di tre anni, disteso sulla spiaggia di Bodrum in Turchia, apparve sulle prime pagine dei giornali internazionali. Quella foto divenne un simbolo globale della crisi dei rifugiati e della tragedia dei bambini innocenti coinvolti nei conflitti.
A dieci anni di distanza, l’immagine continua a fare riflettere sulla responsabilità della comunità internazionale. La morte di Aylan suscitò un’ondata di solidarietà e spinse molti paesi a rivedere le loro politiche migratorie, ma la crisi dei rifugiati resta grave. Ogni giorno, migliaia di persone continuano a rischiare la vita nel tentativo di fuggire da guerre, persecuzioni e povertà.
Negli anni, la foto di Aylan è stata utilizzata in campagne di sensibilizzazione, opere d’arte e manifestazioni. Tuttavia, tragedie simili continuano a ripetersi, spesso silenziosamente.
Il ricordo di Aylan e dei tanti bambini vittime di guerre e migrazioni forzate sembra stentare a diventare più di una memoria dolorosa. Politiche migratorie più umane, sostegno reale ai rifugiati, attenzione ai minori vulnerabili appaiono ancora come traguardi irraggiungibili.











