Questa mattina, all’alba, è stato eseguito lo sgombero del centro sociale Leoncavallo, storico spazio autogestito occupato in via Watteau dal 1994.
L’ordine — inizialmente previsto per il 9 settembre — è stato anticipato in un blitz imprevisto dalle forze dell’ordine e dall’ufficiale giudiziario.
Una storia lunga decenni di rinvii e contenzioso
Per oltre 30 anni, la procedura di sfratto era stata rimandata più di 130 volte. Nel 2024, la Corte d’Appello di Milano ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire la proprietà — la società L’Orologio S.r.l. della famiglia Cabassi — per oltre 3 milioni di euro, a causa del mancato sgombero. Lo sgombero ha consentito quindi di evitare ulteriori richieste risarcitorie da parte della proprietà.Il contesto: politica, cultura e reazioniLo sgombero ha suscitato reazioni politiche immediate. La premier Giorgia Meloni ha affermato che uno Stato di diritto non può tollerare “zone franche”: “Il Governo continuerà a far sì che la legge venga rispettata…”.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito lo sgombero come la fine di una lunga stagione di illegalità, sottolineando che la politica del governo punta alla “tolleranza zero” contro le occupazioni abusive. Matteo Salvini, intanto, in un post su X ha esultato: “Decenni di illegalità… ora finalmente si cambia”.
Il presidio e le voci della comunità
Decine di persone si erano radunate in presidio davanti al Leoncavallo prima dell’intervento, gridando “Viva il Leoncavallo” e denunciando la scomparsa di uno spazio per alternative culturali e sociali. Marina Boer, presidente delle Mamme Antifasciste del Leoncavallo, ha denunciato “una città dove non è più possibile proporre nulla di alternativo.” Il giorno successivo, la zona è apparsa vuota, con agenti ancora di guardia e chiavi e sistemi d’allarme affidati alla proprietà. Intanto, il centro ha annunciato una mobilitazione per settembre.
Verso il futuro: nuovi spazi in cerca
Negli ultimi mesi, l’associazione aveva presentato al Comune una manifestazione d’interesse per un nuovo immobile in via San Dionigi, zona Porto di Mare, auspicando una sede legale alternativa. Avevano attivato anche una “Cassa di resistenza” per sostenere i costi del trasferimento.










