Una nuova tragedia si è consumata nel tratto di mare tra la Tunisia e l’isola italiana di Lampedusa. Nella mattinata odierna, giovedì 14 agosto, le autorità italiane hanno confermato che un’imbarcazione carica di migranti si è capovolta nelle acque internazionali, a circa 14 miglia a sud-ovest di Lampedusa. Almeno 26 persone hanno perso la vita, mentre una dozzina risulta ancora dispersa .L’imbarcazione, partita dalla Libia con circa 92–97 migranti, aveva originariamente viaggiato su due natanti: quando una delle due imbarcazioni iniziò a imbarcare acqua, tutti i passeggeri furono trasferiti sull’altra, costruita in fibra, che poi si capovolse a causa del sovraccarico.
Una sessantina di sopravvissuti sono stati tratti in salvo e condotti a terra, dove hanno ricevuto assistenza medica e psicologica. Le operazioni di soccorso sono ancora in corso, mentre il bilancio provvisorio delle vittime è destinato a salire.
Una tragedia che si ripete: il Mediterraneo come cimitero
Questa tragedia si inserisce in un contesto drammatico e ormai abituale: nel 2025 si contano già 675 morti nel solo Mediterraneo centrale, con quasi 24.500 vittime o dispersi nell’ultimo decennio. L’UNHCR ha espresso profonda angoscia per quest’ennesima tragedia, denunciando la persistente insufficienza degli sforzi di soccorso e la mancanza di soluzioni strutturali per affrontare le cause profonde del fenomeno migratorio.
Non si tratta di un evento isolato: tragedie simili si sono moltiplicate negli anni lungo le rotte migratorie del Mediterraneo. Basti ricordare il naufragio del 3 ottobre 2013 che fece almeno 368 vittime e portò l’Italia a lanciare l’operazione Mare Nostrum, rimossa successivamente in favore delle missioni europee Frontex Plus. Anche l’attuale naufragio di marzo, sempre al largo di Lampedusa, aveva causato numerosi morti: sei cadaveri recuperati e circa 40 dispersi, sopravvissuti scampati solo per un soffio.
Questa strage colpisce il cuore dell’umanità e investe le responsabilità etiche e politiche: i governi europei sono richiamati con forza a potenziare i canali sicuri d’ingresso e le operazioni SAR (Search and Rescue), ma anche a lavorare sulle cause profonde che spingono gli esseri umani a rischiare tutto pur di fuggire da guerre, povertà e pericoli.