Si allunga la lista delle scarcerazioni nel maxiprocesso che vede imputati esponenti di vertice del clan Moccia. Con le ultime cinque ordinanze emesse dalla sesta sezione feriale del Tribunale di Napoli, salgono a quindici gli imputati tornati in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Tra i nuovi scarcerati figura Filippo Iazzetta, marito di Teresa Moccia, ritenuto da anni uno degli ingranaggi più importanti dell’organizzazione criminale.
I nuovi scarcerati, oltre a Iazzetta sono: Francesco Di Sarno, Angelo Piscopo e Benito Zanfardino.
Le scarcerazioni arrivano dopo che, nei giorni scorsi, erano stati già liberati Antonio, Gennaro e Luigi Moccia, oltre a Pasquale Credentino, Francesco Favella, Gennaro Rubiconti, Antonio Nobile e Giovanni Esposito, più un ulteriore imputato coinvolto in fatti separati.
Al centro della vicenda giudiziaria c’è una divergenza interpretativa tra Procura e difese sulla data di partenza dei termini massimi di custodia cautelare.
Secondo l’accusa, il conteggio sarebbe dovuto partire dal dicembre 2022, quando il Tribunale di Napoli Nord si è dichiarato incompetente e ha trasferito il fascicolo a Napoli. Per i difensori, invece, il termine va calcolato dal 22 luglio 2022, data del decreto di giudizio immediato. La sezione feriale ha accolto questa seconda lettura, riconoscendo il superamento dei termini previsti dalla legge.
Sebbene il Tribunale abbia disposto l‘obbligo di dimora fuori da Campania e Lazio per alcuni degli imputati, l’effetto è quello di un vero e proprio terremoto giudiziario.
Avviato nell’ottobre 2022, il procedimento si svolge davanti alla settima sezione penale del Tribunale di Napoli. Tra rinvii, sostituzioni nei collegi giudicanti e una gestione frammentata del calendario (due udienze a settimana, spesso con sessioni fiume), sono state celebrate oltre 60 udienze senza che si sia ancora arrivati alla sentenza di primo grado.
La chiusura del processo era inizialmente prevista per dicembre 2025, ma il susseguirsi delle scarcerazioni rischia di stravolgere i tempi e di minare la tenuta dell’intera istruttoria.
L’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, avviata nell’aprile 2022, ha colpito duramente il clan Moccia, storicamente radicato tra Afragola, Casoria e l’area Nord di Napoli. L’inchiesta portò a oltre cinquanta arresti e alla scoperta di un’organizzazione strutturata e capillare, divisa in comparti economici, operativi e logistici.
Il “tesoro” del clan includeva attività legate al recupero degli oli esausti, al traffico di scarti di macellazione, e, soprattutto, agli appalti pubblici legati alla rete ferroviaria nazionale e all’Alta Velocità.
I sequestri hanno interessato beni immobili, società e conti correnti per un valore stimato di 150 milioni di euro.
Di fronte alla valanga di scarcerazioni, la presidente della Corte d’Appello di Napoli, Maria Rosaria Covelli, ha avviato accertamenti interni per verificare le cause dei ritardi. Richiesta una relazione dettagliata al presidente del Tribunale, Gian Piero Scoppa, mentre il Ministero della Giustizia valuta l’opportunità di un intervento diretto.
Intanto la Procura di Napoli potrebbe presentare ricorso al Riesame o in Cassazione, nel tentativo di ribaltare l’effetto domino innescato dalle interpretazioni divergenti.
Il caso del clan Moccia rischia di diventare un paradigma delle criticità del sistema giudiziario italiano: una macchina lenta, soggetta a diverse letture delle norme e incapace, in alcuni casi, di garantire il completamento dei processi entro i limiti fissati dalla legge.
Un processo ancora in corso, dunque, ma con sempre più imputati fuori dalle celle. E con un clan che, secondo la DDA, resta una delle organizzazioni camorristiche più potenti e ramificate dell’area metropolitana napoletana.