Un’esecuzione in pieno giorno, un uomo disarmato, colpito dove lavorava per tirare avanti: è il 9 luglio 2024 quando Emanuele Pietro Montefusco, 49 anni, viene ucciso sul marciapiede di via Argine a Ponticelli, a pochi passi dalla sua postazione fissa dove vendeva rotoloni di carta. Un omicidio brutale, consumato sotto gli occhi della città, che oggi – a distanza di un anno – si rivela il tragico epilogo di una faida di camorra che per mesi aveva insanguinato Ponticelli.
Emanuele non era un criminale. Era il fratello di Salvatore Montefusco, meglio conosciuto come Zamberletto, capo emergente del gruppo attivo nel rione De Gasperi. Il clan di Montefusco aveva osato sfidare la supremazia il clan egemone, i De Micco-De Martino.
Proprio perché era consapevole di essere finito nel mirino del clan, in particolar modo in seguito al mancato agguato che pochi mesi prima era sfociato in un incidente stradale e che aveva ridotto in fin di vita uno dei suoi gregari, ferendo gravemente un altro dei suoi, Zamberletto aveva adottato un profilo basso. Per questo motivo i rivali decisero di colpire il fratello per lanciare un messaggio più potente: i De Micco non sono disposti a fare sconti a nessuno. Nemmeno ai parenti innocenti.
E così è stato. Emanuele Montefusco è stato ucciso per inscenare un’azione ritorsiva/dimostrativa, ma soprattutto una vendetta trasversale.
La morte di Emanuele ha segnato la fine della contesa armata tra i due gruppi. Dopo mesi di sparatorie, agguati falliti, intimidazioni, il clima di terrore che aveva avvolto Ponticelli ha iniziato a raffreddarsi. Nessun altro “botta e risposta”, nessun nuovo omicidio riconducibile al conflitto. L’epilogo definitivo di quell’inquietante stagione marcata da azioni violente fu sancito dall’arresto di Salvatore Montefusco e suo figlio Carmine, pochi giorni dopo l’agguato in cui perse la vita “Pierino”.
A porre fine al conflitto è stata proprio l’uccisione dell’unico estraneo alla logica criminale. Emanuele Montefusco era un volto del quartiere, uno che non apparteneva a nessun clan, uno che cercava solo di vivere onestamente. Ma il suo cognome ha fatto di lui una pedina sacrificabile.
Dopo la sua morte, la tensione tra i clan si è affievolita. Non per pietà, ma per strategia. Le forze dell’ordine hanno intensificato la pressione, i riflettori sono tornati accesi sul quartiere, ancora di più il timore del ras del rione De Gasperi che ha evitato di esporsi per tentare di inscenare una vendetta, perché consapevole che quella strategia avrebbe messo a repentaglio la sua vita.
Un anno dopo, Ponticelli non è più teatro di agguati quotidiani, ma non è neanche un quartiere pacificato. La criminalità organizzata resta una presenza costante, ma ha cambiato volto: silenziosa, più attenta a non attirare l’attenzione. Un quartiere militarizzato, controllato in maniera capillare dai De Micco, rinsaldati da molteplici scarcerazioni eccellenti e da solide alleanze. Di contro, i reduci dei clan ostili ai “bodo” vivono un momento di viva crisi. Rimaneggiati dagli arresti, minacciati dal tangibile pericolo insito nella forza egemone di un clan che non perde occasione per ostentare e rimarcare la sua supremazia su tutto e tutti, civili compresi.
La morte di Emanuele Montefusco resta il punto di svolta. Non solo per la criminalità, ma per la coscienza collettiva. La sua uccisione ha mostrato, ancora una volta, come la camorra colpisca senza logica apparente, e come il prezzo delle guerre interne lo paghi sempre chi non c’entra nulla.
Pierino non verrà mai riconosciuto dallo Stato come vittima innocente di camorra, ma il suo nome ha segnato una tregua. Una pace imposta dal sangue, che dimostra – ancora una volta – come in certi quartieri, le vite valgano più come “segnali” che come esseri umani.