Esattamente un anno fa, a distanza di otto anni e otto mesi dall‘agguato mortale costato la vita ad Annunziata D’Amico, nota come la “donna-boss” del rione Conocal di Ponticelli, la giornalista Luciana Esposito ha trovato il coraggio di svelare retroscena inediti e inquietanti. Per anni ha custodito nel silenzio una verità scomoda che celava finanche il reale movente delle aggressioni che ha subito nel 2015, poche settimane dopo quell’omicidio che ha sancito un punto di non ritorno perentorio nell’ambito della storia camorristica della periferia orientale di Napoli. Un silenzio rotto grazie al coraggio di Giovanni Braccia, ex esponente di spicco del clan De Martino, oggi collaboratore di giustizia, che nei mesi precedenti all’arresto e alla conseguente decisione di passare dalla parte dello Stato aveva deciso di supportare concretamente le inchieste della direttrice di Napolitan.it.
Braccia, all’epoca ancora formalmente inserito nel sistema criminale di Ponticelli, aveva già cominciato a manifestare segnali di dissociazione, offrendo sostegno concreto a chi da anni cercava di denunciare le connivenze e le dinamiche nascoste della criminalità organizzata locale. Dopo il suo arresto, ha poi intrapreso un percorso di collaborazione con la giustizia.
Grazie a quel sostegno, la giornalista ha deciso di rompere gli indugi e vincere la paura per divulgare una notizia che custodiva dal 10 ottobre 2015, giorno dell’omicidio di Annunziata D’Amico.
Alla base dell’agguato ci sarebbe stato un tradimento interno al clan D’Amico. Una delle sorelle Scarallo, famiglia d’origine della moglie del boss Antonio D’Amico, avrebbe intrattenuto una relazione extraconiugale con un esponente di spicco del clan De Micco, rivale storico dei D’Amico. L’uomo era solito pernottare a casa della donna, e proprio nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2015 avrebbe appreso che Annunziata D’Amico sarebbe uscita la mattina seguente per recarsi in carcere a far visita al figlio detenuto.
Quella soffiata sarebbe stata fatale. I De Micco approfittarono dell’informazione per tendere un agguato a colei che, per anni, era stata la figura femminile più temuta della camorra ponticellese. Ma il tradimento innescò anche una spirale interna di sospetti e paranoia.
I fratelli D’Amico, preoccupati per l’incolumità delle altre sorelle, temevano che quella “falla” potesse essere usata per colpire ancora. Per deviare i sospetti e ristabilire la paura, vennero messi in scena una serie di pestaggi ai danni di residenti del quartiere, accusati – senza prove – di aver “venduto” la donna-boss. Si trattava di una strategia di controllo e intimidazione, finalizzata a imporre l’omertà.
Anche la giornalista Luciana Esposito, pochi giorni dopo l’agguato, fu vittima di un’aggressione. A colpirla fu una delle cognate di Annunziata D’Amico, la stessa che poco tempo prima le aveva confidato dettagli cruciali, tra cui la relazione tra la Scarallo e il ras dei De Micco. Il pestaggio fu giustificato pubblicamente come frutto di motivi “passionali”, ma aveva un chiaro obiettivo: impedirle di divulgare quella pericolosissima notizia.
In quegli anni, infatti, una rivelazione del genere – ufficializzare una relazione sentimentale tra due famiglie rivali – sarebbe stata letta come un atto di vendetta, con tutte le ripercussioni del caso. Solo a distanza di più di otto anni, con maggiore protezione e con la collaborazione di figure come Giovanni Braccia, è stato possibile ricostruire e denunciare pubblicamente quanto accaduto.
La testimonianza, ora resa pubblica, contribuisce a fare luce su uno degli omicidi più simbolici e oscuri della faida di Ponticelli, restituendo alla cronaca la complessità delle dinamiche criminali ma anche il coraggio di chi ha scelto di spezzare il silenzio.