Durante l’esame orale di Maturità 2025, Marcello, diciottenne di un liceo bolognese, ha lasciato il segno: “Sei adulti seduti in silenzio, finalmente pronti ad ascoltare. Per la prima volta in diciotto anni di vita […] per quei preziosi minuti esiste solo per lui” . La sua confessione, riportata da La Stampa ha catturato l’attenzione sui social, alimentando un intenso dibattito sul ruolo dell’ascolto nella vita degli adolescenti.
Marcello ha confessato: “Del voto finale m’interessa davvero poco: per una volta vorrei semplicemente essere guardato. Non dico compreso – non pretendo troppo. Ma visto sì. Per quello che sono, e non per quello che vorrebbero che fossi” .
L’intervento di Marcello sottolinea un paradosso: l’esame, evento percepito come un rito stressante, si trasforma in un’occasione unica di ascolto adulto, laddove durante l’anno scolastico regna spesso la fretta. Come commenta una madre, “ci sediamo poco a parlare con loro” . E una docente suggerisce agli studenti di considerare l’esame come “il vostro teatro”, un momento in cui gli adulti sono lì per voi .
Il post ha scatenato reazioni polarizzate: c’è chi critica un presunto eccesso di vittimismo e “fragilità” della generazione Z, mentre altri riconoscono in quelle parole la testimonianza di un bisogno autentico: non solo di giudizio, ma di riconoscimento umano. Per molti alunni, la maturità diventa l’unica occasione per esistere .
Da questa vicenda emergono importanti riflessioni sul presente del sistema educativo: quanto è diffuso, sia a scuola che in famiglia, un ascolto che mira veramente a vedere e valorizzare lo studente? E quanto, invece, prevale l’obiettivo di “inquadrare” e valutare valori, voti e competenze?