È la figura di Luisa De Stefano, un tempo donna-boss oggi collaboratrice di giustizia, a emergere con forza dietro il blitz della Polizia di Stato che, su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia, ha portato all’arresto di sei persone per tre omicidi di stampo camorristico avvenuti tra il 2016 e il 2018 a Ponticelli.
Due di questi, quelli di Giovanni Sarno e Mario Volpicelli, portano la sua firma: fu lei, secondo quanto oggi confermato anche dalle sue stesse dichiarazioni, a ordinarne l’eliminazione.
Dietro quei delitti si celava una vendetta lucida e brutale: Giovanni Sarno e Mario Volpicelli furono uccisi non per crimini commessi, ma per un legame di sangue con i fratelli Sarno, i boss che avevano deciso di collaborare con la giustizia. Una scelta che costò cara a Roberto Schisa, marito della “pazzignana”, un tempo fedelissimo dei Sarno e condannato all’ergastolo anche per l’omicidio di suo fratello Giuseppe Schisa, proprio sulla base delle dichiarazioni rese dai Sarno.
Un omicidio ordinato dai Sarno quale prova di fedeltà, perché per gli ex boss di Ponticelli, la fedeltà al clan doveva essere collocata sopra tutto e tutti, familiari compresi. Così, quando nel rione De Gasperi iniziò ad aleggiare il sentore che Giuseppe Schisa stesse bramando di collaborare con la giustizia, a suo fratello Roberto fu chiesta una prova di fedeltà. Uccidere suo fratello era l’unica strada da perseguire per continuare a vivere.
Di omicidi crudeli ed efferati, i Sarno ne hanno commissionati a bizzeffe e anche per questo la decisione di rinnegare quel credo criminale imposto con ferocia per decenni ha suscitato reazioni forti, alimentando quel mix esplosivo di rancore e vendetta poi sfociato negli omicidi dei parenti estranei alle logiche criminali.
Luisa De Stefano, donna del clan e conosciuta nel quartiere come la “pazzignana” – epiteto che rimanda tanto alla sua reputazione quanto al suo temperamento – decise di farsi giustizia da sola. Nell’ombra della faida che incendiava Ponticelli tra vecchi e nuovi equilibri criminali, prese in mano le redini della vendetta: due esecuzioni in pochi mesi, entrambe con un significato simbolico preciso. Doveva essere un messaggio, un avvertimento a chi rompeva il codice dell’omertà, ma anche per regolare quei conti in sospeso con i Sarno e soprattutto un monito inquietante con il quale annunciare il ritorno alla ribalta del clan di famiglia che preso per mano dalla donna-boss imponeva la sua supremazia nel rione De Gasperi, quello stesso rione che un tempo fu la roccaforte degli odiati Sarno, perché in questa storia che affonda le radici in un passato mai dimenticato, i messaggi in codice e la simbologia dei luoghi e delle date ricoprono un ruolo cruciale.
Il 30 gennaio 2016 fu assassinato Mario Volpicelli, freddato a colpi d’arma da fuoco mentre rientrava a casa dopo il lavoro. Un agguato voluto per compiere una duplice vendetta: colpire gli odiati Sarno uccidendo il cognato, ma anche i De Micco, ripagando con la stessa moneta Gennaro Volpicelli, nipote di Mario, killer dei De Micco, stimato essere l’autore dell’omicidio di Antonio Minichini, fratellastro di Michele Minichini, non a caso l’esecutore materiale dell’omicidio del cognato dei Sarno. Si sarebbe accanito contro Volpicelli, umile e onesto lavoratore, proprio perché ucciderlo senza pietà equivaleva a pareggiare i conti con i De Micco che la sera del 29 gennaio del 2013 freddarono il fratellastro mentre era in compagnia dell’amico Gennaro Castaldi, unico obiettivo dell’agguato.
Il 7 marzo del 2016 toccò a Giovanni Sarno, alcolizzato e disabile colpito a morte nella sua abitazione, un basso nell’isolato 26 del rione De Gasperi. La porta d’ingresso era sempre aperta per consentire alle sorelle e alle nipoti di accudirlo e portargli da mangiare. Esecutore materiale del delitto Ciro Contini, rampollo dell’omonimo clan, che da latitante aveva trovato protezione e appoggio in casa De Stefano.
Entrambi furono scelti come bersagli solo per i loro legami familiari.
Oggi, a distanza di quasi dieci anni, è proprio Luisa De Stefano a raccontare ogni dettaglio di quegli omicidi. Dopo l’arresto nel 2018 e la successiva condanna all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio del boss dei barbudos Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna, ha scelto di collaborare con la giustizia, seguendo le orme del figlio Tommaso Schisa che prima di lei aveva intrapreso quel percorso con ferma convinzione.
Le sue dichiarazioni, insieme a quelle di altri ex affiliati, sono risultate decisive per ricostruire la verità e portare all’arresto dei responsabili delle tre esecuzioni.
Una parabola tragicamente coerente con molte storie di camorra: chi un tempo ordinava di uccidere i parenti dei “pentiti”, oggi siede nelle aule dei tribunali come testimone dell’accusa.
Non sempre per ravvedimento, spesso per convenienza o sopravvivenza, ma con l’effetto di rompere il muro di omertà che per anni ha coperto i delitti di Ponticelli.
La vicenda di Luisa De Stefano rappresenta uno dei volti più oscuri e insieme emblematici della camorra di oggi: una criminalità ancora intrisa di vendette familiari, di codice d’onore distorto, di donne sempre più protagoniste nelle dinamiche violente dei clan. Ma la sua storia è anche la prova che la verità può emergere, anche se tardi, anche se da chi l’aveva tradita.