Doveva essere solo un giorno di lavoro. Un’opportunità, un’occasione per imparare, per sentirsi utile, forse anche per integrarsi. Invece, per Alagie Sabally, 17 anni, originario del Gambia, quella domenica si è trasformata nell’ultima della sua giovane vita.
Il ragazzo, ospite di una comunità per minori stranieri, era stato inviato a lavorare per un giorno alla Masseria Adinolfi, una struttura immersa nel verde di Sant’Angelo in Formis, frazione di Capua, dove si stava svolgendo un evento con decine di partecipanti. Una richiesta nata in modo informale: a cercare aiuto per la cucina era stato Pranto Hawlader, 21 anni, bengalese, anche lui con un passato nella stessa comunità di accoglienza. Fu lui a contattare il responsabile della struttura per avere un supporto in cucina. E così arrivò Alagie.Il ragazzo aveva effettuato un sopralluogo il giorno prima, accompagnato dal responsabile della comunità. Domenica mattina si è presentato puntuale, pronto a iniziare. Ma la sua prima giornata di lavoro si è trasformata in un dramma inimmaginabile.
Tutto si è consumato nella cucina della masseria. Una discussione, pare, su un errore commesso ai fornelli. Dalle parole ai toni accesi, poi lo scontro fisico. Secondo le prime ricostruzioni, Alagie avrebbe afferrato alla gola l’aiuto cuoco, colpendolo più volte. Hawlader avrebbe reagito, impugnando una forbice – forse presa da un banco vicino – e colpendo il minorenne con diversi fendenti, uno dei quali al petto, rivelatosi fatale.Nonostante il tentativo della titolare dell’agriturismo di separare i due, che ha riportato lesioni lievi a un braccio, l’aggressione non è stata fermata in tempo. I carabinieri sono giunti sul posto dopo la chiamata al 118. Tuttavia, le prime indagini non hanno trovato prove nitide: l’arma del delitto, probabilmente una forbice da cucina, non presenta impronte evidenti.L’aggressore è stato fermato su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere, con l’accusa di omicidio volontario, ma senza l’aggravante dei futili motivi, dato che il gesto potrebbe essere stato una reazione a un’aggressione ricevuta.Hawlader, interrogato, ha negato ogni responsabilità diretta, dichiarando di essere svenuto dopo essere stato colpito dal 17enne. Le sue parole, e la dinamica stessa del delitto, restano al vaglio degli inquirenti.
La tragedia apre interrogativi pesanti anche sul fronte del lavoro dei minori stranieri e sulle dinamiche di inserimento. Se da un lato la famiglia Adinolfi ha assicurato collaborazione piena con gli inquirenti, chiarendo che sono stati allertati tempestivamente sia i soccorsi che le forze dell’ordine, restano dubbi sulla gestione e sul tipo di impiego affidato al ragazzo.
Il 17enne non era regolarmente assunto e stava lavorando su segnalazione della comunità di accoglienza. Il fatto che fosse stato chiamato tramite conoscenza personale e senza un inquadramento formale, solleva nuove questioni sul sistema di tutela per i minori non accompagnati.
Alagie era fuggito dal Gambia per cercare un futuro. Come tanti altri minori, sperava in un’opportunità. Invece ha trovato la morte in un luogo che doveva accoglierlo, proteggerlo, offrirgli una chance. Il suo nome si aggiunge alla lunga lista di giovani vite spezzate, alle storie sommerse di chi vive ai margini della società, tra comunità, precarietà e invisibilità. Il dolore di una morte tanto assurda non può e non deve essere relegato alla cronaca nera.Dietro ogni “giornata di lavoro” improvvisata, dietro ogni favore chiesto per “dare una mano”, ci devono essere regole, responsabilità e tutele. Perché un minore affidato a una comunità non è un lavoratore disponibile, ma una persona da proteggere.
Quella di Alagie Sabally è una tragedia che lascia sgomenti. Una ferita che si apre su più livelli: sociale, umano, giuridico. La giustizia dovrà fare il suo corso, ma la società ha già perso. Ha perso nel momento in cui un ragazzo, a 17 anni, è stato lasciato solo, fragile e vulnerabile, in un contesto che non ha saputo o voluto tutelarlo.
Doveva essere solo un giorno. È diventato l’ultimo.