Ancora un suicidio nelle carceri italiane. Luzmil Toci, 31 anni, detenuto nel reparto di osservazione psichiatrica del carcere di Santa Maria Capua Vetere, si è tolto la vita impiccandosi nella propria cella. Un gesto estremo che getta una nuova, drammatica luce sulle condizioni del sistema penitenziario e sulla crescente emergenza legata alla salute mentale dei reclusi.
Toci era detenuto perché nel 2024 aveva ucciso la moglie davanti ai propri figli di 6 e 4 anni, nella loro abitazione di Casaluce, in provincia di Caserta. Da allora si trovava in custodia cautelare presso l’articolazione psichiatrica della struttura sammaritana. La tragedia è avvenuta intorno alle 13:00 dell’11 giugno: il giovane è stato trovato impiccato dal personale penitenziario. A nulla sono valsi i soccorsi.
Il caso è stato confermato anche dal Garante regionale dei detenuti, Samuele Ciambriello, che ha ribadito la gravità della situazione nelle carceri campane e nazionali.
Con il suicidio di Toci, salgono a 36 i casi di detenuti che si sono tolti la vita nel 2025 nelle carceri italiane. Il numero dei decessi complessivi dall’inizio dell’anno è di 78, un bilancio che supera quello registrato nello stesso periodo del 2024. Solo in Campania, i suicidi in cella sono già cinque: due nel carcere di Poggioreale, uno a Secondigliano, quello recente a Santa Maria Capua Vetere, uno nella REMS di San Nicola Baronia (AV).
Questi dati, sottolinea Ciambriello, “non sono solo cifre”, ma rappresentano una vera e propria tragedia silenziosa che si consuma nelle celle italiane.
“Morire di carcere e in carcere responsabilizza tutti noi che siamo liberi”, ha dichiarato Ciambriello. “La società civile, la politica, l’amministrazione penitenziaria, il terzo settore, il volontariato devono interrogarsi e agire. Servono più prevenzione, più umanità, più interventi psicologici e strutturali”.
Il Garante ha anche lanciato un monito sull’effetto dell’estate: “Con il caldo torrido e il sovraffollamento, il rischio di crisi, gesti autolesionistici e suicidi aumenta esponenzialmente. Le carceri non possono diventare discariche umane dove la sofferenza viene solo contenuta, mai curata”.
Il suicidio di Toci, detenuto in osservazione psichiatrica, mette in luce l’insufficienza dei servizi per la tutela della salute mentale in ambito carcerario. Troppe volte, denunciano esperti e associazioni, i detenuti con fragilità psicologiche vengono abbandonati a loro stessi, rinchiusi in isolamento o trasferiti in strutture non adeguate.
A ciò si aggiungono il sovraffollamento, la carenza di personale, l’inadeguatezza delle cure, l’assenza di percorsi riabilitativi e l’indebolimento del ruolo educativo e sociale delle pene.
Secondo l’associazione Antigone, il tasso di suicidi in carcere in Italia è più alto del quadruplo rispetto alla popolazione libera. La mancanza di supporto psicologico, di attività educative e culturali, l’abbandono affettivo e la sensazione di perdita totale di futuro sono tra i fattori più critici.
Molti detenuti, specie in attesa di giudizio, vivono in uno stato di angoscia costante, aggravata dalla lentezza dei processi e dalla scarsa accessibilità a terapie e sostegno emotivo.
Il suicidio di Luzmil Toci non è un caso isolato. È l’ennesimo segnale che il carcere italiano è un luogo dove troppo spesso si muore, fisicamente e psicologicamente.