“La prossima sarà la mia ex giuro”: un commento agghiacciante apparso in coda a uno dei tanti video del funerale di Martina Carbonaro scatena lo shock sui social. Ma dietro questo gesto si cela un fenomeno sempre più diffuso: uomini che, incapaci di accettare la fine di una relazione, non esitano a impugnare un’arma per uccidere la donna che dicono di amare.
Di fronte al dolore collettivo, l’orrore individuale. Dopo i funerali di Martina Carbonaro, la giovane uccisa in un caso che ha sconvolto l’opinione pubblica italiana, un utente TikTok ha lasciato un commento scioccante sotto uno dei video commemorativi: “La prossima sarà la mia ex giuro.”

Poche parole, ma dal significato inequivocabile. L’account, nascosto dietro il profilo @utentesegretoo, ha poi pubblicato una foto della presunta ex fidanzata, l’ha taggata e le ha rivolto minacce dirette, lasciando trasparire un’intenzione persecutoria che ha spinto centinaia di utenti a segnalare il contenuto e a chiedere l’intervento delle autorità. “O con me o con nessuno”, si legge nel post che ha attirato l’attenzione di molti utenti che hanno redarguito l’autore del contenuto.
Secondo diversi esperti, i casi di femminicidio molto mediatizzati, come quello di Martina Carbonaro, possono paradossalmente alimentare comportamenti emulativi in soggetti già predisposti alla violenza.
Lo spiega la psicologa e criminologa Silvia Torre, specializzata in dinamiche relazionali e devianza affettiva: “Alcuni uomini, soprattutto con tratti narcisistici, fragilità affettive o tratti antisociali, reagiscono alla rottura del legame amoroso come se fosse un’umiliazione intollerabile. Quando vedono che un altro uomo, come nel caso di Martina, ha ‘punito’ la propria partner con la morte, percepiscono — a livello distorto — un modello di rivalsa, un’azione estrema che restituisce potere.”
In questi soggetti, la narrazione pubblica del femminicidio non genera empatia per la vittima, ma una forma di identificazione con l’aggressore, spesso legittimata dalla retorica del “l’ha fatto perché la amava troppo” o “perché non accettava di perderla”.
TikTok, come altri social, è ormai uno dei principali spazi in cui la violenza di genere si manifesta in forma digitale, attraverso stalking, minacce, revenge porn e body shaming. Episodi come quello del profilo @utentesegretoo mostrano quanto sia labile il confine tra parole e potenziali azioni.
Il criminologo Luca Marelli, docente di psicologia criminale, evidenzia che la minaccia pubblica non è solo un gesto dimostrativo. È spesso una richiesta d’attenzione, un’escalation che annuncia un possibile passaggio all’atto reale. Ignorarla o banalizzarla può essere pericoloso. Serve una risposta immediata, sia dal punto di vista giudiziario che sociale.
Molti utenti hanno infatti chiesto alla giovane minacciata di sporgere denuncia immediata, ricordando che le minacce pubbliche sui social possono costituire reato penale, aggravato dalla natura persecutoria.
Dietro gesti come quello denunciato su TikTok, si nasconde una verità spesso ignorata: per molti uomini, la fine di una relazione è percepita come una sconfitta personale, una perdita di potere e identità.
Non si tratta di amore, ma di possesso. Quando la partner si sottrae a questo controllo, il soggetto può reagire con una spirale di ossessione, minacce e, nei casi più gravi, violenza fisica.
I casi più recenti di femminicidio hanno mostrato come i segnali premonitori fossero spesso già presenti, anche in forma digitale: messaggi intimidatori, commenti pubblici, appostamenti, appelli “romantici” mascherati da desiderio di controllo.
L’episodio legato ai funerali di Martina Carbonaro deve rappresentare un campanello d’allarme, non solo per TikTok ma per tutte le piattaforme digitali.