Martina Carbonaro aveva solo 14 anni. Una ragazzina piena di sogni, appassionata di cucina, con il desiderio di diventare una chef stellata. La sera del 26 maggio è uscita per incontrare un’amica e poi il suo ex fidanzato, Alessio Tucci, 19 anni. Non è più tornata a casa. Il suo corpo è stato ritrovato due giorni dopo, nascosto in un edificio abbandonato nei pressi dell’ex stadio Moccia, coperto da un materasso in un armadio. Uccisa da un colpo alla testa con un masso.
Un femminicidio, sì. Ma anche qualcosa di più. Qualcosa di diverso.
Non si tratta “solo” di un ennesimo caso di violenza di genere. Martina era poco più di una bambina. La sua giovinezza strazia, sconvolge. Ma ciò che colpisce più di tutto è la dinamica del delitto e le motivazioni emerse dalla confessione del ragazzo:
“L’ho uccisa perché mi aveva lasciato.”
Parole fredde, che parlano di possesso, non di amore. Di dominio, non di dolore. Di un’educazione sentimentale completamente assente. In Martina, come in tante adolescenti, era nato un sentimento. Ma in Alessio non è cresciuta la consapevolezza che amare non vuol dire possedere. Che nessuno “appartiene” a un altro. E che un no va accettato, anche se fa male.
Martina è stata vittima di un ragazzo che, come tanti suoi coetanei, non ha mai ricevuto una vera educazione emotiva./affettiva Nessuno gli ha insegnato a gestire il rifiuto, a riconoscere e rispettare i sentimenti degli altri, a distinguere tra amore e dipendenza, tra affetto e violenza.
Questo è ciò che rende questo femminicidio ancora più grave: ci mostra il fallimento di un’intera società nel trasmettere ai più giovani i valori fondamentali del rispetto, del consenso, dell’empatia. Ci mostra quanto la scuola, le famiglie, i media e le istituzioni siano ancora indietro nell’affrontare il tema dell’educazione affettiva.
La morte di Martina non può diventare solo un titolo di giornale. Deve diventare un punto di svolta. Deve scuotere le coscienze, chiamare tutti a un’assunzione di responsabilità. Bisogna iniziare dalle scuole, con percorsi seri e strutturati di educazione sentimentale. Bisogna formare insegnanti, famiglie, operatori sociali. Bisogna parlare con i ragazzi, e ascoltarli.