È passato un mese dalle due esplosioni che hanno sconvolto Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli. Il 25 aprile un ordigno ha colpito il rione De Gasperi. Il 2 maggio, un altro è esploso in via Luigi Franciosa. Due episodi distinti, senza collegamenti diretti, ma che insieme tracciano un quadro inequivocabile: la guerra tra clan è più viva che mai, e si combatte nel silenzio generale.
Ponticelli è ancora una volta al centro della cronaca nera. Il quartiere, da anni teatro di faide sanguinose e regolamenti di conti, vive un’escalation di violenza che sembra sfuggita al controllo. Il Conocal e il Lotto O restano tra le aree più calde: vere e proprie zone franche dove, nonostante la definizione di “zona rossa”, continuano a registrarsi agguati e intimidazioni. L’ultimo episodio noto risale a poche settimane fa, quando un giovane è rimasto ferito in un agguato nel Lotto O, in pieno giorno.
In questo clima di tensione e precarietà, la notizia dell’assoluzione di Marco De Micco — ritenuto boss del clan De Micco-De Martino — e di altri imputati per l’omicidio di Carmine D’Onofrio ha gettato ulteriore sconforto tra i cittadini.
A dare voce a questa frustrazione è un abitante del quartiere che ha scritto una lettera molto accorata alla redazione del nostro giornale. La sua testimonianza è il riflesso di uno stato d’animo diffuso:
Mi chiamo Antonio, vivo da sempre a Ponticelli. Forse leggerete queste parole con un po’ di distacco, forse no. Ma io sento il bisogno di scriverle, perché quello che stiamo vivendo qui non può essere raccontato solo con cifre, cronaca o titoli di giornale. È qualcosa che si sente sulla pelle, che ti cambia dentro.
Qui viviamo in un clima di continua paura, ma paura vera. Quella che manda nel panico ogni volta che senti una moto sorpassarti mentre cammini per strada o l’esplosione di una bomba. Quella che ti fa guardare i tuoi figli mentre dormono e ti chiedi se stai facendo abbastanza per proteggerli.
Qui a Ponticelli non viviamo, sopravviviamo. Ogni giorno è un compromesso con l’ansia. Ci sono rioni che sembrano zone di guerra. Conocal, Lotto O, De Gasperi: basta entrarci per capire che lo Stato non abita più qui. Le regole le decidono i clan, e chi non si piega resta ai margini, o peggio.
Abbiamo visto gente uccidersi per il controllo di una piazza di spaccio, abbiamo sentito spari a tutte le ore. E intanto le istituzioni restano mute. Nessuno che venga a dirci che questa terra vale quanto le altre. Nessuno che venga a spiegare ai nostri figli perché devono crescere con i vetri rotti e le finestre sempre chiuse.
Recentemente ho letto dell’assoluzione di Marco De Micco e degli altri imputati per l’omicidio di Carmine D’Onofrio. Non entro nel merito della sentenza. Ma per noi qui, ogni processo che finisce nel nulla è come una nuova bomba che esplode. Perché manda un messaggio chiaro: chi uccide può farla franca.
Abbiamo visto anche l’agguato al Conocal, l’ennesimo regolamento di conti. E poi quel ragazzo ferito nel Lotto O, in piena zona rossa. Che zona rossa è, se si continua a sparare?
Io non sono un eroe. Sono un padre, un marito, un lavoratore. Vorrei solo vivere in pace. Ma qui la pace sembra una parola che non ci appartiene. Lo so che spesso si parla di noi solo quando succede qualcosa di eclatante. Ma vi prego: non dimenticateci quando le luci dei riflettori si spengono.
Ponticelli non è solo camorra. È anche bambini che vanno a scuola, ragazzi che sognano, famiglie che resistono. Nonostante tutto.