L’operazione che nella giornata di martedì 20 maggio ha portato all’arresto degli ex boss di Ponticelli ed ex collaboratori di giustizia Ciro, Vincenzo e Pasquale Sarno non è un episodio isolato. Nell’arco dei circa vent’anni trascorsi da quando i fratelli Sarno hanno deciso di distruggere l’impero del male fondato a Ponticelli e che gli ha consentito di dominare la scena camorristica per circa 30 anni, collaborando con la giustizia, in diverse città italiane hanno avuto luogo operazioni ed arresti importanti che tratteggiano in maniera nitida il disegno criminale che i Sarno non hanno mai smesso di tessere, individuando nella collaborazione una duplice opportunità: vendicarsi di affiliati e rivali contribuendo alle loro condanne e al contempo rifondare gli affari illeciti nelle città dove vivevano protetti dallo Stato.
L’Emilia-Romagna è stata la prima regione teatro di significative operazioni antimafia che hanno colpito duramente il clan camorristico dei Sarno. Le indagini rivelarono una strategia di espansione del clan nel Nord Italia, con particolare attenzione alla regione emiliana, dove sono stati sequestrati beni per decine di milioni di euro.
Nel luglio 2020, la Guardia di Finanza di Rimini, in collaborazione con il GICO di Bologna, ha eseguito l’operazione “Darknet”, che ha portato all’arresto di nove persone e al sequestro di 17 aziende per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro. L’indagine ha evidenziato la presenza di un’associazione criminale di matrice camorristica con base nella Bassa Romagna, legata ai clan Sarno e Casalesi. I soggetti coinvolti operavano nei settori delle costruzioni, degli oli industriali, della ristorazione e delle sale scommesse, infiltrandosi nell’economia locale attraverso attività illecite quali riciclaggio, corruzione e turbativa d’asta.
Dalle investigazioni condotte dalla Guardia di Finanza romagnola emerge l’esistenza di una compagine criminale stabilmente stanziata nella provincia riminese, al cui interno si evidenziano in posizione di predominio: Giovanni Iorio, pluripregiudicato, sorvegliato speciale, cognato di Vincenzo Sarno, fondatore – insieme ai fratelli – dell’omonimo clan e oggi collaboratore di giustizia.
La maxi-operazione delle fiamme gialle denominata “Darknet” ha evidenziato l’impostazione di un modello camorristico ramificato e radicato in diverse città italiane con una struttura organizzativa e un modus operandi più confacente ai casalesi che ai clan napoletani: niente spari ed azioni eclatanti, più infiltrazioni “silenziose, ma remunerative” nelle attività economiche.
L’impero del “nuovo clan Sarno” si basa su attività operanti nei settori edilizia, ristorazione, commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, sale gioco, impiantistica, noleggio auto, per un valore complessivo stimato intorno ai 30 milioni di euro.
Le complesse indagini svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Rimini sono partite nel novembre del 2017 dalla città di Cattolica, dove risultano domiciliati diversi esponenti della criminalità organizzata campana e i loro familiari.
Le indagini hanno consentito di accertare la presenza di uno “zoccolo duro” ai vertici dell’organizzazione, della quale il cognato di Vincenzo Sarno era parte integrante, insieme ad altre persone, finanche imparentate con i casalesi. Intorno ai pilastri dell’organizzazione orbitavano delle figure “accessorie”, la cui appartenenza al sodalizio non è stata provata, in quanto reclutati dai “capi” quando dovevano svolgere qualche mansione, ricoprendo, in sostanza, un ruolo di “consulenti esterni” al clan.
Un’organizzazione che è riuscita ad infiltrarsi nell’economia legale della Romagna, controllando diverse attività economiche in diversificati settori imprenditoriali. Come l’edilizia, la ristorazione e l’impiantistica industriale, traendo risorse mediante fatturazioni per operazioni inesistenti tra le società a loro riconducibili. Grazie alla complicità di un commercialista, drenavano gli utili mediante emissione di fatture per operazioni inesistenti per centinaia di migliaia di euro. Successivamente prelevano in contanti dai pagamenti ricevuti.
L’organizzazione è inoltre riuscita ad assoldare due incaricati di pubblico servizio per l’acquisizione illegale di appalti pubblici, oltre che reinvestire e auto-riciclare in attività imprenditoriali, immobiliari e finanziarie, ingenti somme di denaro derivanti da attività delittuose.
Attraverso dei prestanome il clan aveva intestato a terzi ingenti patrimoni e attività commerciali frutto di attività estorsive e dello spaccio di stupefacenti.
Grazie alla concretizzazione di questo modello di business criminale, l’organizzazione è riuscita ad affermare il proprio controllo egemonico sul territorio basso romagnolo e non solo, attraverso la repressione violenta dei contrasti interni.
Giovanni Iorio, tuttavia, non ha “sprecato” gli insegnamenti frutto dell’esperienza trentennale maturata dal clan Sarno, riproponendo proprio quello stile di vita sommesso che ha consentito alla cosca di Ponticelli di beneficiare per decenni di un alloggio popolare. Iorio, infatti, dichiarava una situazione reddituale insufficiente, pur disponendo di un’elevata disponibilità economica derivante dalla partecipazione occulta in numerose società operanti nei più disparati settori economici e formalmente intestate a prestanome. Così come emerge dalle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Sono partiti da una pizzeria al taglio, la ’Lukè’ a Cattolica, per poi attecchire nelle Marche, a Gabicce, in Basilicata, a Torino, infiltrandosi con denaro ’sporco’ nell’economia, e Parma, dove grazie alla corruzione di funzionari pubblici, sono entrati nel giro degli appalti.
Nel febbraio 2024, l’operazione denominata “Gomorra Truentina” ha portato all’arresto di cinque persone, tra cui ex collaboratori di giustizia legati al clan Sarno di Ponticelli. L’indagine, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia dell’Aquila, ha fatto luce su un caso di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore edile di Tortoreto, in provincia di Teramo.
In manette finirono: Francesco Granato, Antonio Madonna, Giovanni Favarolo, ex figura di spicco del clan D’Amico di Ponticelli, anche lui residente in quella località in veste di collaboratore di giustizia e Grazia Piscopo e Antonio Sarno, rispettivamente moglie e figlio di Luciano Sarno, fratello degli ex boss di Ponticelli, anche lui collaboratore di giustizia e deceduto nel 2018 stroncato da un tumore. Anche nel territorio abruzzese, i reduci dei Sarno si erano messi in evidenza non solo per le loro condotte, ma anche per la capacità di tessere rapporti con altri collaboratori di giustizia residenti in zona. Si erano stati trasferiti a Martinsicuro, in Abruzzo, nell’ambito del programma di protezione per collaboratori di giustizia. Tuttavia, secondo le indagini, avrebbero continuato a operare secondo logiche criminali, sfruttando la loro precedente affiliazione al clan Sarno per intimidire e minacciare l’imprenditore locale.
L’indagine partì dalla denuncia dell’imprenditore, che ha riferito di essere stato vittima di minacce di morte e richieste estorsive, anche con l’uso di armi. In particolare, uno degli arrestati avrebbe simulato la vendita di un orologio Rolex falso per estorcere denaro alla vittima. Le intercettazioni e le testimonianze hanno confermato le accuse, portando all’arresto dei cinque individui.
Nel maggio 2025, un’ulteriore operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze ha portato all’arresto di dodici persone, tra cui i fratelli Ciro, Vincenzo e Pasquale Sarno, il cugino Giuseppe e Antonio, figlio di Ciro. L’inchiesta ha rivelato tentativi di riorganizzazione del clan in Toscana, con infiltrazioni nel settore del trasporto di rifiuti tessili a Prato. Sono stati sequestrati beni e conti correnti per un valore di circa un milione di euro, distribuiti tra Toscana, Liguria, Campania e Friuli Venezia Giulia. L’inchiesta ha evidenziato come il clan stesse cercando di infiltrarsi nel settore del trasporto e smaltimento di rifiuti tessili a Prato, sfruttando la presenza di imprenditori campani radicati in Toscana. Attraverso minacce e intimidazioni, i membri del clan avrebbero estorto denaro a questi imprenditori, vantando un preteso debito di riconoscenza per aver prestato in passato protezione .
Le operazioni condotte in Emilia-Romagna e in altre regioni del Nord Italia evidenziano la capacità del clan Sarno di adattarsi e infiltrarsi in nuovi contesti economici, sfruttando le opportunità offerte da settori strategici come l’edilizia, la gestione dei rifiuti e la ristorazione.