1° maggio 1993: il giorno che cambiò tutto per Rossella Autuori.
Aveva solo 11 anni quando suo padre, Gennaro Autuori, poliziotto in servizio a Napoli, fu ucciso da due camorristi mentre tentava di arrestarli. Una storia di dolore e di coraggio, che oggi Rossella ricorda con una toccante lettera pubblica. La sua testimonianza è un atto d’amore, ma anche un grido di giustizia e memoria.
Di seguito, il testo integrale della lettera:
Una giornata qualunque. Il suono della sveglia, il caffè che invade la casa, le risate del mattino. Papà mi accompagna a scuola, come ogni giorno. La ruota della Vespa si buca, lui la sistema. Un ultimo sguardo prima di andare via. La sera lo aspettavamo per cena, ma il tempo scorreva e di lui nessuna traccia. Alle 21:50, il citofono squillò. Mamma rispose. Poi, il gelo. Io e mia sorella Daniela fummo portate in un’altra stanza. Poco dopo, la casa si riempì di gente. Volti sconosciuti, sussurri, paura.
Aspettavo papà. Dov’era? Quella notte nessuno dormì. Mi dissero che papà aveva avuto un incidente con la Vespa e che era in ospedale. Ma dentro di me sentivo che non era la verità.
Tre giorni dopo, mamma si sedette accanto a me e mi rivelò la realtà. Papà non aveva avuto un incidente. Era stato ferito alla testa durante l’arresto di due latitanti. Era in coma, lottava tra la vita e la morte.
Speravamo in un miracolo. E sembrava essere arrivato. Una telefonata ci annunciò che i suoi reni avevano ripreso a funzionare. Per un attimo, credemmo che il peggio fosse passato.
Ma non bastò.
1° MAGGIO 1993 – IL GIORNO CHE CAMBIÒ TUTTO
Alle prime luci dell’alba, due poliziotte entrarono in casa. Una bionda, una mora.
Si sedettero accanto a me. Non volevo ascoltarle. Guardai il volto di mia madre. Distrutto. Vuoto. Disperato. Non c’era bisogno di parole. Avevo capito tutto. Papà era morto.
Ucciso. Strappato alla sua famiglia da chi non sapeva neanche chi fosse. Morto per ciò in cui credeva, per ciò che amava.
Ricordo solo mia madre immobile, persa nel dolore. Andai da lei. Ci fu un abbraccio che ancora oggi porto nel cuore. Da quel giorno, il mio cuore cambiò per sempre. Sole io, mamma, Daniela e Fabiana di appena due mesi. Pochi giorni dopo, i funerali. Io e mia sorella li seguimmo in televisione. Vidi mamma, in prima fila, con il capo chino e le lacrime che scendevano sotto i suoi occhiali scuri.
Quel giorno giurai che sarei stata forte.
Giurai che avrei onorato mio padre.
Giurai che un giorno avrei indossato la sua stessa divisa.
Oggi quella divisa la porto con orgoglio.
Quella stessa divisa che oggi indossa anche Fabiana, con fierezza e onore.
Dedicando a lui ogni singolo pezzo di stoffa che la compone.
Una testimonianza che non lascia indifferenti. Una promessa mantenuta, una famiglia che ha trasformato il dolore in impegno.
Gennaro Autuori non è solo un nome: è il simbolo di una lotta contro l’indifferenza e contro la criminalità organizzata.
Il suo esempio vive ogni giorno nelle figlie che hanno scelto di servire lo Stato con la stessa dedizione.