Il 25 aprile 1988, Napoli fu teatro del primo attentato con autobomba nella storia della Campania, un evento che segnò una svolta drammatica nella guerra di camorra tra i clan Sarno e De Luca Bossa. La vittima fu Luigi Amitrano, giovane nipote e autista del boss Vincenzo Sarno.
La tensione tra i clan Sarno e De Luca Bossa era giunta al culmine a causa di dissidi interni e richieste estorsive. A rompere definitivamente gli equilibri tra i De Luca Bossa e i Sarno, un tempo alleati, fu la richiesta estorsiva avanzata da Vincenzo Sarno a Teresa de Luca Bossa, moglie di Umberto De Luca Bossa e madre di Antonio De Luca Bossa, noto come Tonino ‘o sicco. “Donna Teresa”, malgrado il suo status di donna era pienamente integrata negli affari illeciti e ricopriva un ruolo di primo ordine nel clan di famiglia, mentre il suo primogenito Antonio è stato ribattezzato dagli inquirenti “il macellaio del clan Sarno” per sottolineare l’efferatezza degli omicidi che ha compiuto per conto e in nome del clan al quale era fedelmente affiliato. Tuttavia, gli equilibri mutarono rapidamente quando Vincenzo Sarno decise di improntare una politica criminale in netta antitesi con quella che fino a quel momento aveva contraddistinto i rapporti tra i Sarno e i De Luca Bossa, rivolgendo una richiesta estorsiva di trecentomila euro a Teresa De Luca Bossa sulle prolifere piazze di droga che fino a quel momento aveva gestito in totale autonomia.
Per questo motivo Tonino ‘o sicco decise di staccarsi dai Sarno e fondare un proprio clan, cercando di affermare la sua autorità attraverso un gesto eclatante: l’assassinio del suo ex alleato, Vincenzo Sarno. Grazie al supporto dell’Alleanza di Secondigliano, aveva deciso di piazzare una bomba nel ruotino di scorta dell’auto blindata guidata da Amitrano, nipote e autista del boss, con l’intenzione di farla esplodere quando, il giorno seguente, come ogni domenica, Vincenzo Sarno, sottoposto all’obbligo di firma, si sarebbe recato al commissariato di Ponticelli.
Il piano prevedeva l’installazione di un ordigno nel ruotino di scorta dell’auto blindata di Sarno, parcheggiata presso l’ospedale Santobono di Napoli, dove Amitrano si era recato per far visita alla figlia ricoverata. L’esplosivo avrebbe dovuto essere attivato a distanza il giorno seguente, durante il tragitto verso il commissariato per l’obbligo di firma di Sarno. Tuttavia, a causa delle cattive condizioni del manto stradale, l’ordigno esplose prematuramente, uccidendo Amitrano. L’ordigno esplose mentre il giovane Amitrano transitava in via Argine, arteria cruciale del quartiere Ponticelli.
L’attentato scatenò una faida sanguinosa tra i due clan, con numerosi omicidi e atti di violenza che insanguinarono le strade di Napoli. Le forze dell’ordine intensificarono le operazioni di contrasto, portando all’arresto di diversi membri dei clan coinvolti. L’episodio rappresentò un punto di non ritorno nell’ambito della faida in corso nella periferia orientale della città e che per effetto delle alleanze intrecciate con i clan del centro storico, coinvolte anche altre zone della città estendendosi ben oltre i confini del quartiere Ponticelli, evidenziando la crescente pericolosità e audacia delle organizzazioni criminali.
Luigi Amitrano, quando è saltato in aria mentre era alla guida della sua auto, stava rientrando a casa dopo aver trascorso l’intera giornata al capezzale di sua figlia di 4 anni, ricoverata all’ospedale Santobono di Napoli. Sarebbe morto comunque, il giorno seguente, insieme a suo zio Vincenzo Sarno, se il manto stradale dissestato non avesse stravolto i piani del boss Antonio De Luca Bossa che fu arrestato poco dopo e da quel momento non è mai più uscito dal carcere.