Il caso di Massimiliano Mulas, accusato di essere uno stupratore seriale, ha sollevato un’ondata di indignazione pubblica e acceso un dibattito sulla gestione giudiziaria dei reati sessuali in Italia. Secondo un’inchiesta del Corriere del Veneto, Mulas è stato lasciato libero di colpire nuovamente poiché nessun tribunale lo aveva definito ufficialmente “pericoloso”.
Massimiliano Mulas è sospettato di aver commesso più aggressioni sessuali, ma nonostante i precedenti e le denunce, le misure cautelari adottate nei suoi confronti sono state insufficienti. La mancata valutazione della sua pericolosità ha permesso che rimanesse in libertà, esponendo altre potenziali vittime al rischio di nuove violenze.
Massimiliano Mulas, 45 anni, originario della Sardegna, è stato arrestato a Mestre con l’accusa di aver violentato una bambina di 11 anni. Le indagini hanno rivelato che Mulas utilizzava i social media in modo sistematico per adescare donne, creando sette profili diversi su Facebook e Instagram, tutti a suo nome.
Mulas adottava una strategia definita “pesca a strascico”, contattando numerose donne con messaggi generici come “Ciao ragazze, chi vuole conoscermi?”. Ogni profilo presentava una versione diversa di sé: in uno si dichiarava ragioniere, in un altro affermava di lavorare per una nota azienda dolciaria, mentre in un altro ancora sosteneva di aver studiato all’estero.
Nonostante una lunga storia di reati sessuali in tutta Italia, nessun tribunale aveva mai definito Mulas come pericoloso, permettendogli di continuare le sue attività criminali. Pochi giorni prima dell’ultima aggressione, era stato fermato dalla Polfer di Torino con un coltello, ma fu rilasciato con una semplice denuncia per porto abusivo di arma da taglio.
Le autorità stanno ora esaminando i dispositivi elettronici di Mulas per identificare eventuali altre vittime e comprendere l’estensione delle sue attività online. Il caso ha suscitato un acceso dibattito sull’efficacia delle misure preventive e sulla necessità di un monitoraggio più rigoroso dei predatori sessuali, specialmente quelli che operano attraverso i social media.
La vicenda evidenzia gravi carenze nel sistema giudiziario italiano, in particolare nella valutazione del rischio di recidiva nei reati sessuali. La mancanza di una diagnosi ufficiale di pericolosità ha impedito l’adozione di misure restrittive adeguate, come la custodia cautelare in carcere, lasciando Mulas libero di agire.
L’opinione pubblica e le associazioni per la difesa delle donne hanno espresso profonda preoccupazione e rabbia per la gestione del caso. Si chiede una riforma urgente delle procedure giudiziarie per garantire una valutazione più accurata della pericolosità degli individui accusati di reati sessuali e per proteggere efficacemente le potenziali vittime.
Nel 2023, un altro caso simile ha visto protagonista un uomo a Milano che, nonostante diverse denunce, è rimasto in libertà fino al suo arresto per una nuova violenza.
Le statistiche del Ministero della Giustizia mostrano che oltre il 30% dei condannati per reati sessuali torna a delinquere entro 5 anni dalla scarcerazione.
In Parlamento si discute un nuovo disegno di legge per rafforzare la valutazione psichiatrica obbligatoria nei casi di violenza sessuale.