Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere napoletano di Poggioreale, è una delle figure più limpide e simboliche nella lotta dello Stato contro la criminalità organizzata. Nato a Capri nel 1943, Salvia dedicò la sua carriera alla giustizia e alla legalità, incarnando l’etica del servizio pubblico con fermezza e umanità.
Il 14 aprile 1981, Salvia fu ucciso in un agguato mafioso sulla tangenziale di Napoli. Mentre stava rientrando a casa, fu affiancato da un’auto e colpito con sei proiettili alla testa e al torace. L’ordine di quel delitto partì direttamente da Raffaele Cutolo, boss della Nuova Camorra Organizzata (NCO), che da tempo aveva giurato vendetta contro di lui. Il motivo? Salvia si era opposto ai privilegi che Cutolo pretendeva all’interno del carcere, incluso il rifiuto di farlo entrare in cella senza essere perquisito come ogni altro detenuto. Quel gesto di normalità e legalità fu letto dal boss come un affronto personale, da punire con la morte.
L’indagine sul delitto portò, dopo anni di omertà e paura, a una svolta grazie alle testimonianze dei pentiti della NCO. Tra i collaboratori di giustizia spiccava Pasquale Barra, ex sicario del clan, che confessò di aver partecipato all’esecuzione materiale dell’omicidio e indicò come mandante proprio Cutolo. Nel 1993, dopo un lungo iter giudiziario, Raffaele Cutolo fu condannato all’ergastolo come mandante del delitto, mentre altri membri del clan ricevettero pene severe per la loro partecipazione all’attentato.
Recentemente, la figura di Cutolo è tornata sotto i riflettori grazie a una fiction prodotta da Amazon Prime, “Il camorrista – La serie”, versione integrale dell’omonimo film di Giuseppe Tornatore. Nonostante l’intento narrativo possa essere quello di raccontare un’epoca oscura della storia italiana, il rischio di mitizzare il boss ha sollevato numerose polemiche, soprattutto da parte della famiglia Salvia che di contro si adopera per mantenere viva la memoria di un uomo giusto, un servitore dello Stato che ha dato la vita per servire gli ideali in cui credeva. Valori e ideali che vivono nell’impegno quotidiano dei suoi figli, Antonino e Claudio Salvia, impegnati a promuovere incontri nelle scuole e iniziative finalizzate a divulgare la legalità.
Claudio Salvia, figlio di Giuseppe, ha definito la serie un insulto alla memoria del padre e di tutte le vittime della criminalità organizzata, sottolineando come lo storytelling contemporaneo rischi di romanticizzare personaggi responsabili di violenze e omicidi efferati.
A Giuseppe Salvia è dedicato il docufilm “Le ultime parole del boss”, tratto dal libro “La vendetta del boss” di Antonio Mattone. Quest’opera restituisce dignità e centralità alla figura di Salvia, raccontando il lato umano, il coraggio civile e il sacrificio estremo di un uomo che ha pagato con la vita la sua fedeltà allo Stato.
Giuseppe Salvia rappresenta il volto nobile della resistenza civile contro le mafie. Raccontare la sua storia non è solo un atto di giustizia, ma anche un dovere morale per evitare che le nuove generazioni confondano eroi con criminali. La sua memoria continua a vivere, esempio di una legalità silenziosa e potente, troppo spesso dimenticata nei riflettori dell’intrattenimento.