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Il caso Anna Sodano: lo Stato protegge il boss, ma dimentica le vittime

Luciana Esposito di Luciana Esposito
27 Febbraio, 2025
in Cronaca, In evidenza
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Il caso Anna Sodano: lo Stato protegge il boss, ma dimentica le vittime
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Di Anna Sodano non resta nulla. Nessun corpo su cui piangere, nessuna giustizia per i figli che ha lasciato. Solo una foto sbiadita, custodita come un reliquia da quei figli resi orfani dalla camorra. Uccisa dai Sarno dopo essere stata attirata in un tranello, la giovane madre era già sotto tutela dello Stato quando è caduta vittima di chi voleva punire il suo tentativo di sottrarsi alla criminalità.

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Era il 29 gennaio 1988 quando quella giovane donna e madre che sognava una vita normale, lontano da Ponticelli e dalle brutture della camorra è sparita nel nulla.

La 27enne che gestiva una piazza di droga nel rione De Gasperi di Ponticelli per conto del clan Sarno, manifestò la volontà di voltare le spalle a quelle logiche avviando un percorso di collaborazione con la giustizia già intrapreso quando si allontanò dall’albergo dove alloggiava temporaneamente, in attesa di essere trasferita in una località protetta e fece ritorno nel rione De Gasperi, attirata in una trappola mortale.

I Sarno fecero credere, in primis, alla sua amica Luisa De Stefano – diventata prima una figura apicale della criminalità locale e di recente una collaboratrice di giustizia – che erano disposti a perdonare ad Anna quel tradimento scellerato, a patto che tornasse sui suoi passi, rinunciando all’idea di collaborare. La convinsero che avrebbero provveduto loro al suo mantenimento e a quello dei suoi figli, garantendole un vitalizio e un alloggio lontano da Napoli. I boss di Ponticelli indussero la donna a credere che non avrebbe rinunciato al sogno di crescere i suoi figli lontano da Napoli e dalla camorra e che non gli sarebbe mai mancato nulla. Un’ingenua utopia alla quale Anna ha voluto aggrapparsi per non patire la mancanza dei figli. Consapevole che durante le prime fasi della collaborazione, i suoi figli non avrebbero potuto seguirla immediatamente, Anna viveva male l’idea di distaccarsi da loro per tanto tempo. I Sarno sapevano che i figli erano il punto debole di Anna e hanno fatto leva sul suo cuore di mamma innamorata per portare a compimento l’agognata vendetta.

Una volta tornata nel rione De Gasperi di Ponticelli, l’arsenale del clan Sarno, Anna si è resa conto del madornale errore compiuto nel lasciare l’albergo dove era rifugiata sotto la tutela dello Stato, quando era ormai troppo tardi per rimediare. Torturata e interrogata dal boss Vincenzo Sarno per rivelargli le informazioni riferite alla magistratura, seppure la donna avesse più volte ribadito di essersi limitata a fornire poche indicazioni circa le piazze di droga, non bastò a salvarle la vita. Il boss la consegnò ai suoi gregari che la caricarono a bordo di un’auto e la uccisero con un colpo di pistola. Il cadavere fu consegnato “agli amici di Sant’Antimo” ai quali ordinarono di farlo sparire. Da quel giorno Anna Sodano è stata inghiottita nel nulla, forse maciullata in una betoniera o forse gettata in una fossa. Nessun collaboratore di giustizia è stato in grado di fornire informazioni utili al ritrovamento del suo corpo.

Non bastava ucciderla. L’omicidio della prima donna legata al clan Sarno che aveva manifestato la volontà di collaborare con la giustizia, doveva essere una lezione, in grado di fungere da avvertimento per gli altri affiliati che si lasciavano accarezzare dalle stesse intenzioni. Uccisa e mai più ritrovata, negando ai parenti anche la possibilità di riconoscergli una degna sepoltura: questa è la fine che fanno “i pentiti”. Questo il messaggio scalfito a caratteri cubitali dal clan Sarno sull’omicidio di Anna Sodano.

Due anni dopo, il 18 marzo 2000, anche Gennaro Busiello, il marito di Anna Sodano, fu ucciso in un agguato di camorra, perché il clan temeva che stesse pianificando una vendetta o che potesse emulare le gesta della moglie defunta, optando a sua volta per il pentimento. Anche lui fu attirato in un tranello e fu assassinato nella zona dove abitualmente si svolge il mercato delle pulci nel quartiere Poggioreale.

La camorra, il clan Sarno, hanno reso orfani due bambini, cresciuti dagli altri parenti con la speranza che, prima o poi, la madre sarebbe tornata a bussare alla loro porta. Erano troppo piccoli per capire e accettare una realtà così amara. Sono cresciuti in fretta, i figli di Anna Sodano e Gennaro Busiello, tra le rovine del rione De Gasperi, tra chi vive di espedienti e spaccio di stupefacenti e ben presto sono rimasti irretiti da quelle dinamiche.

Oggi, mentre Vincenzo Sarno – il boss che ne ordinò la morte – ha goduto per anni della protezione dello Stato, grazie a un “pentimento” sempre più discusso, i figli di Anna sono stati dimenticati. A loro è stato riconosciuto un risarcimento di 300mila euro, mai incassato a causa dei piccoli precedenti penali che figurano a loro carico. Un paradosso che pesa come un’ulteriore condanna: per chi nasce in certi contesti, lo Stato sembra essere assente, se non per punire.

Dal 2009 fino allo scorso 6 febbraio, Vincenzo Sarno è rimasto sotto l’egida dello Stato, pur continuando a delinquere.

Di contro, i figli di Anna Sodano sono stati abbandonati al loro destino. Proprio quei ragazzi avrebbero bisogno di un’opportunità per ricostruirsi una vita, quella stessa possibilità che la madre sognava per loro e che la camorra le ha negato.

Il contrasto è stridente: lo Stato tutela e mantiene un boss di camorra che ha continuato a delinquere anche dopo il pentimento, ma non ha offerto alcuna possibilità a chi è rimasto vittima di quella stessa organizzazione criminale. Un sistema che protegge chi ha distrutto vite, ma non chi cerca di ricostruirle.

Resta una domanda inevasa: chi risarcirà davvero i figli di Anna Sodano? E soprattutto, chi darà loro la possibilità di un futuro diverso da quello che la camorra ha scritto per loro?

Lo Stato ha fallito due volte. La prima, quando non ha saputo proteggere Anna. La seconda, quando ha voltato le spalle ai suoi figli. Ha salvato il carnefice, ma ha condannato le vittime. E oggi, di Anna Sodano, resta solo una foto sbiadita. Come se non fosse mai esistita.  

La vicenda di Anna Sodano e dei suoi figli rappresenta una delle tante ferite ancora aperte nella lotta alla criminalità organizzata in Italia. Il fatto che una giovane donna, già sotto tutela dello Stato, sia stata ingannata, torturata e uccisa senza che il suo corpo sia mai stato restituito alla famiglia evidenzia un fallimento istituzionale di fronte alla brutalità dei clan camorristici. 

Ancora più grave è l’abbandono dei suoi figli, privati non solo della madre, ma anche di qualsiasi reale sostegno per costruirsi un futuro lontano dalla criminalità. Il risarcimento a loro riconosciuto e mai percepito, rappresenta un’ulteriore dimostrazione di come lo Stato, pur riconoscendo la propria responsabilità, non abbia fornito un aiuto concreto a chi ne aveva più bisogno. 

Il caso di Vincenzo Sarno, boss che ha goduto per anni della protezione statale nonostante il suo “pentimento” sia ormai ampiamente messo in discussione, pone un interrogativo etico e giuridico fondamentale: fino a che punto le istituzioni possono continuare a proteggere figure ambigue, ignorando invece le vittime e i loro familiari? 

Un intervento legale per ottenere un risarcimento adeguato e un sostegno concreto per i figli di Anna sarebbe non solo auspicabile, ma necessario per ristabilire almeno in parte una giustizia negata. È una questione che meriterebbe attenzione mediatica e istituzionale, perché senza un reale impegno dello Stato, storie come quella di Anna Sodano continueranno a ripetersi. 

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