“Mi sono salvato per miracolo. Perché lei era incinta di me, e lui ha cercato di pugnalarla. Così, sulla pancia: zac, zac, zac”, inizia così la storia di Francesco Pio Valda, il 21enne condannato all’ergastolo per l’omicidio di Francesco Pio Maimone. Suo padre Ciro Valda, morto in un agguato di camorra nell’agosto del 2013, sferrò una serie di coltellate alla moglie, proprio mentre era incinta di Francesco Pio.
Chi conosceva bene Ciro Valda, non lo descrive come un camorrista di spessore, ma piuttosto come una persona con evidenti problemi psichici. Uno squilibrato che sarebbe finito sicuramente in manicomio e che invece si aggirava indisturbato tra le strade del quartiere. Un camorrista sì, ma al soldo dei Cuccaro, un manovale del clan con una nota incapacità di autocontrollo: questo il profilo tracciato da chi lo ha conosciuto e ha assistito alle fasi salienti della sua vita, fino a quell’agguato, voluto per disfarsi di un affiliato diventato scomodo per una serie di ragioni.
La madre di Valda, tutt’altro che propensa a misurarsi con le dinamiche peculiari della malavita, decise di voltare pagina, allontanandosi da Barra, lasciando ai nonni paterni la responsabilità di crescere i suoi figli. Il nonno aveva impartito un’educazione rigida a Francesco Pio tenendolo lontano dai guai. Il richiamo del sangue ha preso il sopravvento dopo la morte del nonno, quando le redini sono passate tra le mani della nonna, Giuseppina Niglio, fedele e convinta sostenitrice del credo camorristico.
Ancora minorenne, Francesco Pio Valda incassa una condanna per spaccio di droga, inizia così un percorso in comunità che secondo gli operatori sarebbe andato a buon fine, ma una volta tornato a Barra, Valda avrebbe fatto “il salto di qualità”, complice l’inserimento nel gruppo costituito dai rampolli della famiglia Aprea.
Inizia così l’ascesa camorristica di Francesco Pio Valda che, poco più che maggiorenne, riesce a conquistare il controllo del territorio in veste di boss reggente del clan Valda, in seguito all’arresto di suo fratello Luigi. Una leadership condivisa con Manuel Aprea, rampollo dell’omonima famiglia storicamente radicata a Barra. Uno status consacrato a suon di serate in discoteca e bottiglie di champagne, con tanto di foto di rito a suggellare l’evento e ufficializzare l’alleanza tra le due famiglie camorristiche.

Malgrado la giovane età di Valda e Aprea e dei membri del loro gruppo, la cosca capeggiata dai due eredi di altrettante famiglie camorristiche radicate da decenni a Barra, conquistò la supremazia inscenando una vera e propria strategia del terrore, scandita dalle bombe e da azioni violente ed intimidatorie. Un gruppo criminale che conquistò l’attenzione degli inquirenti che nel 2022 iniziarono ad intercettare casa Valda consegnando così dialoghi e conversazioni che ricostruiscono il clima che si respirava intorno a Francesco Pio Valda e che ha concorso a farlo diventare in pochissimo tempo uno dei leader della camorra barrese.
La nonna amava proporre aneddoti, racconti inerenti a fatti di sangue e azioni delittuose di cui si era reso autore suo figlio Ciro Niglio, padre di Francesco Pio Valda. Racconti pregni di orgoglio ed esaltazione, accentuati da una vena nostalgica legata al passato glorioso vissuto dal clan di famiglia. Una narrazione che impartiva un modello educativo ed emulativo ben preciso e che scaricava sul giovane nipote un importante carico di responsabilità, ma anche l’esaltazione e la convinzione di muovere i passi giusti, nella direzione giusta.
Nell’ambito di uno dei tanti dialoghi intercettati, Valda chiarisce anche quelli che erano i suoi rapporti con i “ponticellari”, spiegando che “stavano bene”. Fa poi riferimento a un disguido maturato contestualmente alla sua scarcerazione con un clan, perché intendevano appropriarsi di Barra, ma lui e il suo gruppo li cacciarono, poiché “a Barra comandavano loro”. Parole pronunciate il 16 febbraio del 2023 e che confermano le ambizioni di Valda, finanche capace di contrastare le incursioni di organizzazioni camorristiche più strutturate e organizzate, pur di preservare il controllo del territorio.
Ignaro di essere intercettato, Valda fa ampio sfoggio delle ideologie che ispirano il suo credo camorristico: “Li picchio non si imparano, le mani non servono a niente. Gli do due spari, si mettono paura”. Un concetto che Valda chiarisce in maniera ancora più esaustiva quando discute con il suo interlocutore circa le modalità da adottare per compiere le rapine convenendo sulla necessità di avvalersi dell’uso della pistola, strumento sicuramente in grado di incutere paura nelle vittime. Valda si compiace delle modalità esecutive che connotano le sue rapine, esaltando le sue doti e la cinica freddezza con la quale ha estratto la pistola per puntarla in bocca alle vittime.
“Il piombo è il piombo, quando vedono il piombo si mettono paura la gente...compà! La gente la fai mettere paura…”
Uno conversazione che concorre a far luce sulle motivazioni che hanno portato lo stesso Valda, la notte tra il 19 e il 20 marzo del 2023, ad estrarre la pistola che aveva con sé e sparare una raffica di colpi, nella zona degli chalet di Mergellina, malgrado la presenza di numerose persone estranee alle logiche criminali, dopo aver ricevuto un pestone sulle costose scarpe bianche che calzava.
Il suo intento era quello di incutere timore per essere rispettato e temuto, sempre e comunque, da chiunque.
La lite con un gruppo proveniente dal rione Traiano, il pestone che aveva macchiato la scarpa griffata: un affronto che “un uomo d’onore” non poteva lasciare impunito. Non poteva rischiare che il suo status di boss reggente del clan operante a Barra fosse denigrato da quel gesto.
Valda non ha esitato ad impugnare la pistola e sparare diversi colpi ad altezza d’uomo. Un proiettile vagante ha raggiunto Francesco Pio Maimone, 18enne di Pianura, estraneo alla lite, non lasciandogli scampo. Seduto a una tavolino distante diversi metri dal luogo della rissa, Maimone non si è neanche accorto di quello che stava succedendo.
Due ragazzi, lo stesso nome, una vittima e un carnefice. Due destini, lo stesso verdetto: fine pena mai. Uno sconterà la pena in carcere, l’altro al cimitero.
La vita di Francesco Pio Maimone si è spenta sul ciglio della strada che costeggia quello che viene definito il lungomare più bello del mondo, tra le braccia del suo amico fraterno, Carlo.
Il giorno seguente, consapevole di aver ucciso un ragazzo innocente, Valda cerca di mettersi in contatto con suo zio, Ciro Niglio, all’epoca collaboratore di giustizia. Lo videochiama su Instagram, ma lo zio è restio a rispondere. Da quando ha voltato le spalle alla camorra, i parenti sono soliti rintracciarlo sui social solo per rivolgergli insulti, imprecazioni e minacce. Così, gli scrive dei messaggi per chiedergli aiuto: confessa di essere l’autore dell’omicidio di Mergellina e manifesta la volontà di collaborare con la giustizia. “Ho fatto tanti guai per un clan”, scrive allo zio, chiedendogli di mediare con lui con un avvocato che possa aiutarlo. Solo per una fortuita coincidenza, quel giorno, lo zio di Valda non è riuscito a metterlo in contatto con l’avvocato che non gli ha risposto al telefono.
Poco dopo, per il rampollo del clan egemone a Barra, sono scattate le manette: la polizia lo ha arrestato per i fatti avvenuti la sera precedente.
A partire da quel momento è iniziata la consacrazione sui social di Francesco Pio Valda. Una campagna di solidarietà ed esaltazione senza precedenti. Decine di account su tiktok, ideati per esaltare le gesta del 19enne, autore dell’omicidio di un coetaneo estraneo alle logiche camorristiche. Il disperato tentativo di tenere insieme i pezzi ed evitare che Valda junior potesse disonorare il clan di famiglia gettando sulla sua reputazione camorristica l’onta del pentimento. Un pericolo che andava scongiurato a tutti i costi, non solo minimizzando la gravità della situazione, ma soprattutto esaltando Valda, boss di un clan di camorra a 19 anni e autore dell’omicidio di un giovane innocente.
Una vita iniziata in declino che oggi, giovedì 30 gennaio, ha raggiunto il picco più concitato: Francesco Pio Valda è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Francesco Pio Maimone, aspirante pizzaiolo di Pianura, a sua volta condannato ad avere per sempre 18 anni.