L’agguato costato la vita a Enrico Capozzi rilancia una tendenza inquietante già manifestata in un passato relativamente recente da parte del clan De Micco di Ponticelli: quella di non farsi scrupoli ad uccidere parenti di affiliati ai clan rivali, seppure non direttamente addentrati nelle dinamiche camorristiche, vedendosi impossibilitati a colpire il ras con il quale regolare i conti in sospeso.
In questo modo, il clan ha introdotto una strategia del terrore che contribuisce a capillarizzare il controllo del territorio e ad assoggettare, non solo gli esponenti delle organizzazioni camorristiche rivali, ma anche la gente comune che vive nella consapevolezza di non essere immune alle logiche malavitose, proprio per questa ragione.
Quelli avvenuti a Ponticelli lo scorso luglio e appena due giorni fa sono due agguati che maturano in uno scenario assai simile, portati a compimento inscenando lo stesso copione.
Emanuele Pietro Montefusco, 49 anni, si era lasciato alle spalle i precedenti penali legati a un passato con il quale aveva chiuso, dopo aver saldato il suo debito con la giustizia e la mattina del 9 luglio, come tutte le mattine, si era recato sul marciapiede di via Argine dove era solito trascorrere gran parte della giornata in veste di venditore ambulante di rotoloni di carta. Mai avrebbe immaginato che quell’attività arrabattata per rimediare qualche soldo gli sarebbe costata la vita e che sarebbe stato ucciso in un agguato proprio lì. Pierino, così lo chiamavano tutti a Ponticelli, era il fratello di Salvatore Montefusco detto Zamberletto, il ras a capo del gruppo emergente del rione De Gasperi che da qualche mese aveva inscenato una serie di pratiche finalizzate a contestare l’egemonia dei De Micco. Le schermaglie tra le due fazioni antagoniste hanno avuto inizio a gennaio dello scorso anno e nelle fasi iniziali hanno fatto registrare una serie di raid intimidatori indirizzati al ras del rione De Gasperi che ciononostante ha seguitato a portare avanti i suoi piani, manifestando la volontà di non sottostare ai De Micco attraverso azioni esplicite, come stese, richieste estorsive, scorribande armate nei fortini dei rivali.
Il primo, vero episodio eclatante si è registrato due giorni prima di Pasqua: il commando che attendeva a bordo di un suv, nei pressi della strada che dal rione De Gasperi sfocia in via delle Metamorfosi, l’uscita di Montefusco o di qualsiasi altro affiliato al suo gruppo, una volta intercettati a bordo di uno scooter due affiliati, Giuseppe Tulipano e Vincenzo Arienzo, non riuscendo a mettere a segno un agguato, provarono ad uccidere i rivali provocando un grave incidente stradale nel quale i due centauri ebbero prevedibilmente la peggio. Tulipano, ricoverato in gravi condizioni, fu dimesso dall’ospedale dopo qualche giorno, mentre Arienzo fu ridotto in fin di vita e si riprese solo dopo aver trascorso circa un mese in terapia intensiva in condizioni critiche.
Un episodio che non ha concorso ad indurre Zamberletto a rivedere i suoi piani. Il ras non ha rinunciato ai suoi piani, pur iniziando ad adottare un atteggiamento molto più cauto, guardandosi bene dal mostrarsi in giro e dal compiere quel genere di passi falsi del quale avrebbero potuto approfittare i killer del clan rivale. All’indomani della notte di schiamazzi e festeggiamenti andata in scena per celebrare la scarcerazione di Pasquale Damiano, nipote di Giovanni De Stefano, alleato di Montefusco, nell’ambito della quale fu annunciata la nascita di una nuova era camorristica, il clan De Micco entrò in azione per stroncare sul nascere le ambizioni dei rivali.
Ad avere la peggio fu proprio Pierino, il bersaglio più facile da colpire, proprio perché trascorreva le sue giornate sul marciapiede di una delle strade più trafficate del quartiere, seppure fosse estraneo alle dinamiche camorristiche. Proprio perché non aveva nulla da spartire con le scelte di suo fratello e con quel disegno criminale che si ostinava a voler portare a compimento, Pierino Montefusco non temeva per la sua vita e per questo motivo, quella mattina, come tutte le altre mattine, si recò al solito posto, auspicando di vendere qualche rotolone di carta.
Impossibilitati a stanare Zamberletto, in preda all’impellente necessità di replicare subito al plateale annuncio sbandierato la sera precedente, i De Micco ripiegarono su Pierino. Non hanno avuto neanche bisogno di pianificare l’agguato, sicuri di trovarlo lì. Un’auto è giunta sul posto, il killer ha abbassato il finestrino e ha sparato, per poi dileguarsi.
Salvatore Montefusco, il fratello di Pierino, fu arrestato all’incirca una settimana dopo l’omicidio del fratello per mettere fine a quel clima inquietante che sembrava destinato a introdurre un’escalation di sangue. Sarebbe bastato arrestare Zamberletto prima per evitare che suo fratello Pierino venisse ucciso per una vendetta trasversale. Del resto, sul capo di Montefusco pendeva sul capo una denuncia per usura, estorsione, detenzione abusiva di armi e traffico di sostanze stupefacenti. A tutti i reati contestati è stata riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso.
A pagare per la condotta irriverente e scellerata che ha contraddistinto il piano criminale di Salvatore Montefusco è stato suo fratello Pierino, malgrado la sua estraneità a quel contesto.
A pochi mesi di distanza, quel copione si è tristemente ripetuto.
Il recente ritorno a Ponticelli dell’ex boss ed ex collaboratore di giustizia Vincenzo Sarno, avvenuto negli ultimi giorni del 2024, ha concorso a delineare lo stesso scenario. Scarcerato di recente, dopo una serie di concitati eventi che hanno portato alla sua estromissione dal programma di protezione, oltre al suo trasferimento in carcere, una volta scontata la pena residua, Vincenzo Sarno ha confermato che l’intenzione annunciata un anno prima di tornare a Ponticelli, non era solo una provocazione. Accompagnato da altri due parenti, l’ex boss che ha trascorso gli ultimi 15 anni sotto la tutela dello Stato, ha rivolto delle richieste estorsive ai commercianti del quartiere. Un gesto plateale che ancora una volta ha concorso a mettere in discussione l’egemonia dei de Micco, indirizzandogli una sonora e plateale mancanza di rispetto. Un affronto che, anche in questa circostanza, “i bodo” hanno cancellato con il sangue di un innocente. Impossibilitati a stanare Vincenzo Sarno e i parenti che lo accompagnavano, poiché dopo quell’azione eclatante hanno tempestivamente fatto ritorno nelle località dove dimorano, a centinaia di chilometri di distanza da Ponticelli, consapevoli e sprezzanti del rischio al quale avrebbero così esposto i parenti ancora residenti a Ponticelli.
Nel mirino dei sicari, lo scorso 9 gennaio, è finito Enrico Capozzi, 36 anni, figlio di una cugina dei Sarno, nonché l’imprenditore che nel 2023 ha denunciato e ha fatto arrestare per estorsione il ras dei De Micco Antonio Nocerino. Un agguato eclatante che lancia un duplice messaggio: uno rivolto a Vincenzo Sarno e che mira a stroncarne le ambizioni, evidenziando, ancora una volta, la facilità con la quale il clan tende a ripiegare sui parenti innocenti, pur di colpire i rivali. Il secondo, invece, è indirizzato a tutti coloro che mirano a contrastare e contestare l’egemonia dei De Micco, anche perseguendo le vie legali. Un monito indirizzato ai commercianti e agli imprenditori taglieggiati dal clan e non solo.
Anche in questo caso, l’omicidio di Capozzi poteva essere evitato.
In seguito al ritorno di Vincenzo Sarno a Ponticelli, la direttrice di Napolitan, la giornalista Luciana Esposito, aveva inoltrato diverse comunicazioni agli inquirenti in cui evidenziava lo stato di acclarato pericolo al quale era esposti gli abitanti del quartiere e in particolare, i parenti degli ex boss di Ponticelli. Una richiesta rimasta inascoltata e che nel giro di pochi giorni ha trovato riscontro nella realtà.