Mario Scala fu il primo affiliato al clan Sarno a pagare con la vita il desiderio di rinnegare la camorra per cambiare vita, optando per il pentimento.
Scala un giovane prettamente dedito allo spaccio di eroina per conto del clan Sarno. Fu prima torturato e poi bruciato vivo.
Scala divenne un informatore della polizia e grazie alle sue soffiate, si registrarono una sfilza di sequestri ed arresti che colsero di sorpresa il clan. Per i vertici del clan non fu difficile intuire che quelle operazioni a distanza ravvicinata che concorrevano ad indebolire l’organizzazione fossero frutto di segnalazioni precise e mirate da parte di qualcuno che disponeva delle informazioni necessarie per consentire alle forze dell’ordine di colpire i Sarno. Pertanto, ben presto conclusero che quelle indicazioni potevano provenire solo da un affiliato al clan e per questo motivo i vertici della cosca avviarono delle indagini interne serrate e meticolose finalizzate a stanare la talpa, o meglio “l’infame”. Non fu difficile risalire a Scala, soprattutto perché era l’unico che era riuscito a sventare l’arresto, malgrado fosse invischiato anche lui nel giro di droga gestito dal clan. La conferma giunse quando, durante un interrogatorio, nelle tasche dei pantaloni gli trovarono un biglietto sul quale era riportato il numero di telefono di un ispettore di polizia. Tanto bastò per decretare la condanna a morte del giovane, il primo “infame” che aveva bramato la volontà di rinnegare i Sarno per collaborare con la giustizia.
Il 3 dicembre del 1994, il tronco carbonizzato di Scala fu ritrovato in un cassonetto dei rifiuti in via Madonna del Pantano a Licola, frazione di Giugliano in Campania che dista circa quaranta chilometri da Ponticelli. I resti del suo cadavere furono ritrovati diversi giorni dopo la denuncia sporta dal padre che, allarmato perché non lo vedeva rincasare da giorni, si recò dalle forze dell’ordine.
Il tronco carbonizzato fu trovato all’interno di un cassonetto della spazzatura. Il braccio desto amputato dopo l’articolazione, il sinistro completamente mancante, come la parte inferiore del bacino. La testa, invece, era avvolta in una busta di plastica, chiusa con del filo di ferro. Le braccia e le gambe erano state date alle fiamme e sparse in altri bidoni della spazzatura. Furono rinvenuti resti del cadavere in bidoni di altri comuni limitrofi, a chilometri di distanza dagli altri cassonetti. Il consulente tecnico accertò che Mario Scala “respirava ancora quando le fiamme si sono sviluppate”.
L’autopsia fu necessaria non solo per stabilire l’identità della vittima, ma anche il sesso. Inizialmente gli inquirenti ipotizzarono che fosse il cadavere di una donna, probabilmente una delle tante prostitute della zona, complice la corporatura esile di Mario Scala.
Uno dei tanti omicidi efferati di cui si sono macchiati i fratelli Sarno, pur di intralciare i piani degli affiliati che intendevano collaborare la giustizia e impedirgli di compromettere gli affari illeciti del clan. Quello di Mario Scala fu il primo di una serie di omicidi finalizzati a sventare il pericolo insito nella volontà di collaborare con la giustizia manifestata da alcuni affiliati. All’incirca dieci anni dopo quella stagione sangue, i fratelli Sarno e le altre figure apicali del clan hanno optato per la collaborazione con la giustizia, contribuendo a spazzare via l’impero del male che avevano fondato facendo luce su decine di omicidi, compresi quelli ordinati per zittire per sempre gli affiliati che intendevano dare man forte alla magistratura.