Ha destato notevole scalpore la notizia della morte di Luca La Penna, 42enne legato al clan De Luca Bossa di Ponticelli, deceduto mentre era detenuto presso il carcere di Secondigliano, in circostanze ancora tutte da chiarire.
“Sono fasi concitate, in cui è difficile discernere le notizie ufficiali da quelle ufficiose, quest’ultime comprensibilmente enfatizzate dal dispiacere dei familiari”, dichiara l’avvocato Paolo Gallina, difensore di Luca La Penna che affiancherà i familiari del 42enne nella ricerca della verità, affinché venga fatta chiarezza su una morte che ha sicuramente colto tutti di sorpresa.
“Negli ultimi giorni, Luca lamentava dolori particolari, stanchezza e poche capacità cognitive. Non aveva febbre alta. Così come sembra accertata la perdita di coscienza che sarebbe sopraggiunta anche nei giorni precedenti al decesso, anche se la notizia non è ancora ufficiale. Sembra che nel corso degli ultimi controlli da parte del personale medico della struttura carceraria, il detenuto non rispondeva agli stimoli esterni e non era capace di interagire con i suo i interlocutori. Quindi presentava una limitata capacità cognitiva o addirittura azzerata.”
I soccorsi si sarebbero allertati alle sei della mattina di martedì 7 gennaio e La Penna sarebbe morto in ambulanza per arresto cardiaco, quindi sarebbe giunto in ospedale quando i medici non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Pertanto, il detenuto era prossimo al decesso poco prima di lasciare l’istituto penitenziario dove era recluso.
L’avvocato Gallina precisa di aver sostenuto l’ultimo colloquio in carcere con il suo assistito venti giorni fa, prima delle festività natalizie e di aver interloquito con un soggetto sano, non affetto da patologie pregresse. “Ci siamo confrontati circa gli ultimi sviluppi processuali. La sua vicenda era quasi prossima alla definizione”, aggiunge il legale che ribadisce il suo stupore nell’aver appreso la notizia.
Il legale della famiglia La Penna spiega che occorre capire se si poteva intervenire prima e in maniera più tempestiva, quanto ci fosse di fondato nelle lamentele di La Penna e degli altri detenuti che ugualmente pare che si siano attivati per fare in modo che gli venissero fornite le cure mediche di cui necessitava, ma anche quando il personale medico del carcere di Secondigliano è intervenuto e in che modo. In sostanza, resta da capire se anticipando il trasferimento in ospedale, il detenuto avrebbe potuto beneficiare di cure utili a salvargli la vita e analogamente è necessario chiarire perché gli sia stata negata l’eventuale assistenza sanitaria di cui aveva bisogno e quali cure gli sono state fornite.
Tutti interrogativi sui quali l’autopsia concorrerà a far luce, oltre a stabilire la causa del decesso, ancora ignota. Così come stabilito dal pubblico ministero di turno che ha disposto il sequestro della salma e ha ordinato l’esame autoptico. L’avvocato Gallina annuncia che verrà nominato un consulente di parte che potrà quindi partecipare all’autopsia. Gli esiti dell’esame autoptico rappresentano il primo tassello da acquisire, per poi dare il via alle indagini difensive finalizzate a far luce su una morte sommersa da interrogativi ai quali, allo stato attuale, è impossibile dare delle risposte. Oltre all’autopsia, determinati anche le dichiarazioni dei medici e degli altri testimoni, in primis i compagni di cella che hanno condiviso il calvario di La Penna durante i suoi ultimi giorni di vita.
“Non è stata una morte improvvisa, sembrerebbe che a questo arresto cardiaco si è arrivati lentamente, mentre il mio assistito era ospite dello Stato. Sembrerebbe che al mio assistito sia stato negato il diritto alla salute mentre lo Stato intendeva rieducarlo. Attendiamo l’autopsia”, aggiunge, infine, l’avvocato Gallina, sottolineando la necessità di acquisire tutti i tasselli utili a ricostruire l’intera vicenda, prima di formulare un verdetto attendibile.