Aumentano di giorno in giorno gli account che si servono dei social per vendere illegalmente qualsiasi tipologia di merce. Abiti, accessori, utensili da cucina, prodotti per la cura della persona, detersivi e molto, molto altro.
Abitazioni che si trasformano in studi televisivi e in negozi illegali per accogliere un business che garantisce ingenti guadagni giornalieri perché, come tengono a precisare agli utenti, le vendite proseguono anche al termine delle dirette sui social. Basta disporre del numero di telefono da contattare per effettuare un ordine che talvolta viene anche spedito a chilometri di distanza dalla base operativa.
Un business sul quale la camorra continua a puntare, a riprova del consistente margine di guadagno che è in grado di garantire. Un’attività illecita probabilmente ancora troppo sottostimata dalle forze dell’ordine, un ulteriore motivo per il quale vale la pena di metterci la faccia, auspicando di beneficiare di una certa impunità proprio perché si tratta di una delle politiche di maggiore tendenza sui social network. Una delle nuove frontiere della criminalità che sdogana il mercato dell’illecito traghettandolo verso un dirompente modello di business che si avvale di TikTok e Facebook come vetrine nelle quali esibire i prodotti e sfoggiare le proprie abilità di intrattenimento. E non solo.
Un nuovo trend che introduce l’ennesima criticità da osteggiare per i negozianti accreditati alla vendita degli stessi prodotti, ma che a differenza dei competitor, hanno tutte le carte in regola per svolgere quell’attività e proprio per questo sul loro capo pendono diverse spese: affitto, bollette, tasse. Una guerra ad armi impari che costringe il commerciante a capitolare, perché incapace di ingaggiare una gara al ribasso, proprio perché la controparte parte da una base di partenza che gli consente di applicare prezzi irrisori e non solo perché il guadagno è netto al cento per cento. Molto spesso, si tratta di merce venduta o reperita illegalmente, perché il mercato del falso e le vendite illegali convergono in una filiera nell’ambito della quale la criminalità trae margine di guadagno ad ampio raggio. Per la serie “il banco vince sempre”. E in questo caso, il banco è la camorra.
Sia che si tratti di merce contraffatta, sia che si tratti di merce rubata, la matrice di provenienza è sempre la medesima: merce illegale, acquistata per alimentare il business illegale, attraverso un canale di vendita apparentemente piccolo e innocuo, come quello che apre una finestra sull’anonima stanza di una delle tante case di edilizia popolare, molto probabilmente occupata abusivamente dall’abitante/venditrice. Un canale, quello messo a disposizione dei social, che se gestito con abilità può invece consentire di raggiungere migliaia di persone che quasi sicuramente si trasformeranno in acquirenti, complici i prezzi vantaggiosissimi sbandierati con grossolana padronanza della lingua italiana. Un mix di fattori capaci di suscitare perfino empatia e che legittimano l’acquirente a “spargere la voce”, ampliando il volume d’affari della camorra, facendo confluire amici, parenti e conoscenti in quel canale che consente di comprare qualsiasi prodotto a prezzi che non possono essere definiti competitivi, perché uccidono l’economia legale e il commercio al dettaglio.
Inoltre, in molti casi, il clan organizza il business sulla base di una struttura piramidale, a capo della quale c’è la referente, la figura che si occupa del reperimento dei prodotti che a sua volta rivende ad altre persone che poi, come lei, provvederanno a smerciarli attraverso le dirette sui social, principalmente per promuovere l’attività illecita, affinché la stessa possa essere conosciuta e riconosciuta dagli utenti che si tramutano in clienti e che in qualsiasi momento possono ordinare dei prodotti via sms, senza attendere la consueta live sui social.
Sull’altro fronte ci sono i commercianti, quelli che molto spesso sono costretti a subire anche ricatti estorsivi da parte della camorra e che si vedono depauperati di ingenti possibilità di guadagno, anche da questo dirompente business illegale. Lavoratori onesti che acquistano merce regolare, che battono gli scontrini e pagano le tasse, ma anche l’affitto e le bollette delle utenze e molto spesso vivono di sacrifici e rinunce per far quadrare i conti a fine mese.
Come se ciò non bastasse, in alcuni casi, i commercianti che hanno provato a ribellarsi a quello stato di cose, abbassando i prezzi della stessa merce venduta illegalmente su TikTok, hanno ricevuto la visita degli esponenti del clan a capo del business illecito che gli hanno intimato di farsi da parte, subendo in silenzio la supremazia della concorrenza, al fine di non intralciare i guadagni della camorra. Minacce indirizzate non solo ai commercianti, ma estese ai loro figli, per assicurarsi il ritiro dalla gara di sopravvivenza che quegli esercenti avevano ingaggiato per cercare di restare a galla.
Un business illecito che non può essere definito sommerso, perché spopola alla luce del sole, conquistando un numero di consensi e acquirenti che accresce in maniera direttamente proporzionale al numero delle dirette social in cui vengono sponsorizzate le vendite illegali.