Il comportamento adottato dal colonnello Fabio Cagnazzo, fin dalle ore successive all’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso il 5 settembre del 2010, fu criticato finanche dal suo braccio destro, nonché fidato collaboratore, Lazzaro Cioffi. Entrambi sono accusati di aver ricoperto un ruolo determinante nell’omicidio del sindaco-pescatore, unitamente a Romolo Ridosso, figura di spicco della camorra scafatese e Giuseppe Cipriano, imprenditore di Scafati e gestore del cinema di Acciaroli.
E’ proprio Romolo Ridosso, in veste di collaboratore di giustizia, a rivelare che Cagnazzo aveva assicurato che si sarebbe adoperato per depistare le indagini, prima ancora che l’omicidio di Vassallo venisse eseguito. Una condanna a morte scaturita dalla necessità di mettere a tacere Vassallo, un’impellenza condivisa da tutti i soggetti che hanno ricoperto un ruolo nella vicenda, in quanto aveva scoperto un traffico di droga nel quale erano coinvolti e la mattina seguente si sarebbe recato dai carabinieri per mettere tutto nero su bianco.
Secondo Cioffi, Cagnazzo aveva esagerato aveva esagerato nel prendere iniziativa, non solo sulla scena del crimine, ma addentrandosi in un’attività investigativa in veste di semplice turista, senza alcuna forma di accreditamento da parte della procura, rischiando così di attirare l’attenzione su di sé, come effettivamente è accaduto.
Cagnazzo non ha solo contribuito ad inquinare la scena del crimine assumendo una condotta tutt’altro che confacente a un carabiniere graduato e della sua caratura, ma nei giorni successivi ha interrogato diversi testimoni e soprattutto ha acquisito le immagini di alcuni sistemi di videosorveglianza che ritraevano Vassallo mentre lasciava il porto di Acciaroli quella sera, al fine di manipolare i filmati per fare in modo che risultasse che Bruno Humberto Damiani, a bordo della sua moto e affiancato dal altri due soggetti in scooter, avesse seguito Vassallo. Dinamica ampiamente sbugiardata dai filmati integrali. Tuttavia, Cagnazzo si adopera per indirizzare le indagini degli inquirenti, proprio su di lui, un piccolo spacciatore della zona, di origini italo-brasiliane.
Cagnazzo fu tra i primi ad arrivare sulla scena del crimine e rimosse alcuni reperti di indubbia importanza, come dei bossoli. Una vistosa anomalia comportamentale segnalata da molte persone presenti sulla scena del crimine, tra le quali Claudio Vassallo, il fratello del sindaco di Pollica che ritrovò il cadavere alle ore 1.47. Il fratello della vittima riferisce che Cagnazzo, per mostrargli che l’arma del delitto era una calibro 9, aveva raccolto un bossolo con un rametto per mostrarglielo e poi lo aveva rimesso a terra. Lo stesso comandante della stazione dei carabinieri di Pollica dichiarerà che una delle maggiori difficoltà riscontrate sulla scena del crimine fu quella di tenere a bada Cagnazzo che, malgrado i suoi continui richiami, seguitava a comportarsi in maniera maldestra. Lo scorso gennaio, nel corso di un interrogatorio, lo stesso Cagnazzo riferì di aver convocato i giornalisti perchè quella “era una sua prassi”.
I testimoni raccontano anche che, malgrado l’area intorno alla scena del crimine fosse stata delimitata, al suo interno erano presenti numerose persone, tra le quali viene riconosciuto Cagnazzo che insieme a un’altra persona definita il suo autista (probabilmente il carabiniere Luigi Molaro) prelevava dal luogo del delitto i mozziconi di sigarette e li metteva in un sacchetto o in un pacchetto di sigarette. “Il colonnello Cagnazzo entrava e usciva dalla zona interdetta”. Il suo andirivieni terminò quando giunsero i carabinieri addetti ai rilievi scientifici che probabilmente invitarono anche il colonnello ad allontanarsi. Inoltre, un testimone riferisce che prima dell’arrivo della scientifica, quando sulla scena del crimine erano presenti molte persone, si era più volte chinato accanto alla ruota anteriore sinistra dell’auto di Vassallo per prelevare qualcosa con l’aiuto di una torcia.
Ancora più inquietante il racconto di un parente di Vassallo che riferisce un episodio avvenuto sulla scena del crimine quando si accende una sigaretta, marca Lucky Strike: viene avvicinato da Cagnazzo che gliela scippa di bocca e la getta accanto all’auto del sindaco. Durante l’attività di sopralluogo, gli inquirenti trovano una sigaretta di quella stessa marca con filtro combusto, quindi non fumabile perché accesa al contrario, recante il dna di Cagnazzo che non poteva essere quella “scippata” al parente del sindaco che l’aveva accesa correttamente. La sigaretta riconducibile a Cagnazzo è stata rinvenuta nell’uliveto ubicato sul margine destro della strada, a pochi metri dall’auto in cui giaceva il cadavere di Vassallo.
Mentre si trovava ancora sulla scena del crimine, Cagnazzo indirizza le indagini su Damiani, suggerendo al comandante del nucleo investigativo di Salerno di controllarlo, indicandolo come uno spacciatore della zona, riferendo che pochi giorni prima i due avevano avuto dei contrasti.
Il giorno seguente, il 6 settembre, dal “residence tre palme” di proprietà dei fratelli Palladino, anche loro indagati per l’omicidio Vassallo, Cagnazzo invia un fax al comando dei Carabinieri di Castello di Cisterna dove trasmette una serie di informazioni sostanzialmente volte a rafforzare l’input già fornito al comandante e finalizzate ad indirizzare l’attività investigativa su Damiani. In sostanza, Cagnazzo sostiene che “il brasiliano”, quell’estate, avrebbe avuto diversi screzi con altri spacciatori della zona, in quanto intenzionato a detenere il controllo dell’attività di spaccio e indica una serie di persone con le quali Vassallo aveva avuto degli screzi, guardandosi bene dal inserire l’informazione più importante che aveva appreso: il sindaco aveva scoperto un traffico di droga e la mattina seguente si sarebbe recato dai carabinieri per denunciare tutto e tutti. In riferimento a Damiani, precisa che lo stesso era consapevole che Vassallo lo stesse attenzionando e che i parenti lo avevano notato nei pressi della sua abitazione, durante le sere precedenti, come se avesse voluto effettuare dei sopralluoghi per studiare le abitudini di Vassallo. Non a caso è lo stesso Cagnazzo a suggerire di sottoporre Damiani all’esame del guanto di paraffina. Il test darà esito negativo.
Senza alcuna autorizzazione, come detto, Cagnazzo preleva i filmati dei sistemi di videosorveglianza delle attività che puntano sul porto di Acciaroli e che hanno ripreso Vassallo andar via a bordo della sua auto quella sera. Una volta giunto a Castello di Cisterna, Cagnazzo lavora su quei filmati insieme a Lazzaro Cioffi, malgrado quest’ultimo fosse in licenza. La disamina delle immagini registrate dall’hard disk ha consentito agli inquirenti di appurare che il fascicolo prodotto dal Cagnazzo conteneva fotogrammi parziali e incompleti dei movimenti del Damiani e dei suoi accompagnatori. La visione completa delle stesse immagini scagionava completamente i tre da ogni accusa. La notizia del sequestro degli stessi filmati da parte della procura di Salerno destò forte agitazione non solo tra i carabinieri coinvolti, ma anche nei fratelli Palladino, tanto da pianificare un incontro di persona per evitare di affrontare la questione telefonicamente.
Inoltre, Cagnazzo e Molaro si attivano anche per ascoltare potenziali testimoni e anche in riferimento a questa condotta avviene un fatto assai suggestivo: accompagnato da uno dei fratelli Palladino, Cagnazzo si sarebbe recato a casa di un carabiniere che abita poco distante dal luogo dell’omicidio con l’intento di sincerarsi che non avesse visto e sentito nulla e che avrebbe confermato quella versione anche agli inquirenti che indagavano “ufficialmente” sul caso.
Infine, Cagnazzo cerca di accreditarsi agli occhi della famiglia Vassallo mostrandosi onnipresente e disponibile, diventando un punto di riferimento, al fine di inculcare anche in loro i dubbi sul “brasiliano”. Un parente di Vassallo definisce Cagnazzo “il nostro salvatore, non solo perchè era particolarmente vicino a tutta la famiglia, ma ci ripeteva che in breve avrebbe trovato l’autore dell’omicidio e che sarebbe andato a casa del “brasiliano” per “farlo parlare”, nel senso che l’avrebbe fatto confessare.”
Una promessa ripetuta come un mantra.