Un quadro ricostruito in maniera nitida dalla Procura di Salerno, guidata dal Procuratore Giuseppe Borrelli, quello che di recente ha portato all’arresto di quattro persone ritenute responsabili, a vario titolo, dell’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso in un agguato di matrice camorristica la sera del 5 settembre del 2010.
Una ricostruzione che lascia poco spazio ai dubbi e che concorre a chiarire alcuni dei tanti punti interrogativi che orbitano sull’omicidio del primo cittadino di Pollica da ben 14 anni.
Pochi giorni prima di essere ucciso, Vassallo dichiarò di aver visto e saputo delle cose che in vita sua non avrebbe mai voluto vedere e sentire. Oggi sappiamo che probabilmente alludeva al traffico di sostanze stupefacenti che aveva scoperto e che vedeva coinvolti degli insospettabili, tra i quali degli imprenditori della zona, esponenti della criminalità organizzata, ma anche dei carabinieri. Quantitativi ingenti di droga giungevano a bordo di motoscafi al “moletto” di Acciaroli e da lì stoccati in alcuni container. Era la droga destinata a rifornire le principali piazze di spaccio del napoletano, quelle che fruttano ingenti guadagni ai clan camorristici.
Un fatto confermato soprattutto dall’attenzione costante che Vassallo rivolgeva ai natanti che attraccavano ad Acciaroli. Il 20 agosto ordina a un agente municipale di svolgere, insieme ad altri colleghi, servizi di osservazione finalizzati ad intercettare l’arrivo di un natante trasportante droga dietro al moletto di Acciaroli. Inoltre, Vassallo intensificò i controlli nei locali di Acciaroli, fra i quali quelli nelle disponibilità dei fratelli Palladino, in particolare Domenico, consigliere comunale con delega al turismo e allo spettacolo. I rapporti tra il sindaco e Domenico Palladino s’interruppero il 20 agosto, contestualmente alla decisione di Vassallo di chiudere il “Senzafondo”, la vineria nella quale venivano organizzate serate danzanti. Così come dispose la chiusura anticipata del “Mister Marlin”, lo stabilimento balneare di proprietà dei Palladino, contrariamente a quanto aveva fatto in precedenza, quando aveva richiesto ai gestori di tutti i lidi di prolungare la loro attività fino a domenica 5 settembre, al fine di consentire ai visitatori di usufruire dei loro servizi anche nel corso del primo weekend di settembre.
La tensione, durante quella concitatissima estate, cresce di giorno in giorno: gli inquirenti hanno ricostruito con dovizia di particolari le fasi salienti di quel vortice di eventi culminati nell’omicidio del “sindaco-pescatore”, così soprannominato non solo per le sue origini, ma anche per sottolineare il viscerale amore per il mare e il rispetto dell’ambiente che hanno contraddistinto la politica improntata da Vassallo.
Il 24 agosto Vassallo si apposta in prima persona e ingaggia anche un’accesa discussione con pusher della zona, a riprova di quanto fosse teso il clima e di quanto patisse l’assenza di un’adeguata copertura del territorio da parte delle forze dell’ordine. Per questo motivo, Vassallo si adopera come meglio può per fronteggiare quelle criticità e così firma un’ordinanza che dispone la chiusura dei locali della movida alle ore 2.
Vassallo rivelò ad alcuni conoscenti che “qualcuno voleva portare la camorra in Cilento”, per questo, dopo quella clamorosa scoperta, temeva per la sua incolumità, aveva preso l’abitudine di rientrare a casa prima di mezzanotte, non percorreva mai la stessa strada e non si fermava a parlare per strada con nessuno, “anche se è un amico”.
“Indifeso e spaventato”: viene descritto così Angelo Vassallo, durante i suoi ultimi giorni di vita.
Tuttavia, il traffico di droga, probabilmente, era solo la punta dell’iceberg. Vassallo era un uomo acuto, lungimirante, attento, capace di congiungere i vari punti che gli si erano parati davanti. “Ho fatto delle raccomandate agli uffici della provincia di Salerno, per chiedere perché hanno pagato delle strade in realtà mai realizzate e non mi hanno risposto, ma sempre dovranno farlo”, confidò a un amico, ignaro del fatto che quelle risposte non le avrebbe mai ricevute e che sarebbero giunte molti anni dopo quella sua denuncia pubblica nel 2008. Con sentenza definitiva, lo scorso ottobre, la Terza Sezione Centrale d’Appello della Corte dei Conti ha confermato la condanna per danno erariale di oltre 1,5 milioni di euro, inflitta in solido al responsabile contabile del Settore tecnico e al dirigente del servizio finanziario della Provincia di Salerno, insieme all’istituto bancario tesoriere. La sentenza riguarda i fondi stanziati per la costruzione della strada Celso-Casal Velino, un tracciato sterrato di nove chilometri che avrebbe dovuto collegare la frazione di Celso, nel comune di Pollica, a Casal Velino. L’opera, finanziata nel 2005 con un contributo di 754.250 euro dalla Regione Campania, doveva essere realizzata sotto la supervisione della Provincia di Salerno. Di questa somma, l’ente ha effettivamente ricevuto circa 603.400 euro (pari all’80% dei fondi stanziati) affinché i lavori fossero completati entro aprile 2008. Tuttavia, nonostante il progetto risultasse formalmente concluso e collaudato, la strada non è mai stata effettivamente realizzata.
Luca Cillo, agente immobiliare di Casal Velino che negli ultimi giorni di vita di Vassallo divenne una delle persone di cui si fidava di più, rivela che “aveva capito qualcosa di grosso dove c’erano immischiati i politici e tutto il resto”. Non a caso, proprio Cillo sarà una delle persone più turbate dall’omicidio di Vassallo, in quanto tra le poche persone pienamente consapevoli, fin dai primi istanti, che proprio quanto scoperto dal sindaco aveva sancito la sua condanna a morte. Per questa ragione cerca di adoperarsi per consentire agli inquirenti di incanalare nella giusta direzione le indagini, pur manifestando un atteggiamento dal quale trapelava tutta la paura di essere a sua volta assassinato.
Una paura che si è diffusa a macchia d’olio, contagiando l’intera comunità: l’omicidio di Vassallo è stato segnato fin da subito da un clima di palpabile omertà, proprio perché forte era il sentore che dietro quell’efferato delitto ci fossero degli interessi grossi, oltre che delle persone che era più opportuno non inimicarsi. Un’inquietudine che trapela finanche dalla condotta di un esponente della malavita scafatese coinvolto nell’omicidio: Romolo Ridosso che inizia a collaborare con la giustizia, non appena apprende che i carabinieri Fabio Cagnazzo e Lazzaro Cioffi erano indagati per l’omicidio di Vassallo con l’intento di costruirsi una posizione solida e credibile agli occhi della magistratura. Ridosso rivela a più persone che i due militari disponevano di appoggi e coperture, un fatto ribadito anche da altri soggetti che hanno concorso a far luce sull’omicidio del sindaco-pescatore. Per questo motivo temeva che Cagnazzo e Cioffi sarebbero riusciti a farla franca, a discapito della sua posizione e pertanto si adopera per evitare l’ergastolo. Il timore di trascorrere il resto dei suoi giorni in carcere, Ridosso lo palesa a chiare lettere quando rivela le motivazioni per le quali ha reso dichiarazioni falsate e reticenti alla magistratura: “se dico la verità mi danno l’ergastolo”, confermando quindi la sua partecipazione all’omicidio di Vassallo.
Se prima dell’assassinio del sindaco di Pollica per Romolo Ridosso i rapporti con Cioffi rappresentavano una garanzia per i suoi affari, una sorta di scudo, quando apprende che la magistratura è sulle tracce dei due carabinieri, teme anche per la sua incolumità, ipotizzando che potessero liberarsi di lui, in quanto complice del delitto, anche per questo che in veste di collaboratore si guarda bene dal rivelare agli inquirenti tutta la verità e questo gli vale l’estromissione dal programma di protezione. Un evento che lo traghetta in uno stato emotivo che lo sprona a confidarsi a cuore aperto con un detenuto, Eugenio D’atri, insieme a Nicola Zucaro di Ponticelli, reggente di un clan operante a Somma Vesuviana Tra i due si instaura un rapporto di fiducia che porta Ridosso a confessare al suo compagno di cella tutta la verità sul delitto Vassallo.
E’ proprio D’Atri a rivelare agli inquirenti le reali dichiarazioni di Ridosso, fornendo dettagli e particolari che poteva aver appreso solo dalla fonte diretta, decretando così una delle svolte cruciali che hanno consentito alla Procura salernitana di allestire il quadro accusatorio che ha fatto scattare le manette per quattro persone: Romolo Ridosso, i carabinieri Lazzaro Cioffi e Fabio Cagnazzo e l’imprenditore di Scafati Giuseppe Cipriano, proprietario del cinema di Acciaroli.