L’omicidio di Santo Romano, il 19enne ucciso ai piedi della sede del Municipio di San Sebastiano al Vesuvio, ha trascinato la comunità vesuviana indietro di 21 anni, a quel sabato 5 aprile del 2003, quando la consueta uscita di scuola degli studenti del liceo scientifico “Salvatore Di Giacomo” si trasformò in tragedia. Paolino Avella, 17enne del vicino comune di Pollena Trocchia, perse la vita nel tentativo di sfuggire ai malviventi che intendevano rubargli lo scooter. Dopo un breve inseguimento, i due rapinatori, a bordo di un altro ciclomotore, speronarono la ruota posteriore dello scooter guidato da Paolino. Letale l’impatto con il ciglio del marciapiede che lesionò gravemente gli organi interni. Paolino morì davanti agli occhi increduli dei compagni di scuola, una settimana prima di compiere 18 anni.
Per quella tentata rapina sfociata nella morte di un giovane studente furono condannati un minorenne di Ponticelli e Luigi Minichini, soggetto legato alla criminalità organizzata di Barra, arrestato da latitante ad agosto del 2014.
La morte violenta di Paolino turbò profondamente quella generazione di studenti. Tantissime le mobilitazioni che si susseguirono nei giorni successivi: la più significativa fu il sit-in di protesta nei pressi della Prefettura di Napoli dove fu allestito un enorme cuore disegnato con i caschi per chiedere maggiore sicurezza tra le strade della cittadina vesuviana, sensibilmente scossa e addolorata da quella morte violenta.
Una morte che giunse al culmine di un’escalation di reati predatori perpetrati ai danni dei giovani studenti del liceo che divennero facili e appetibili prede dei rapinatori delle aree limitrofe. In questo clima maturò la morte di Paolino Avella e fin da subito, i suoi genitori lanciarono accorati appelli ai giovani. L’avvocato Alfredo Avella, il padre di Paolino, trasformò quel dolore inconsolabile in un cammino scandito da due valori: memoria e impegno, affinché la morte del suo primogenito non finisse nel dimenticatoio e da quella tragedia potesse nascere un seme di speranza e miglioria. L’avvocato Avella fu tra i fondatori del Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità e per numerosi anni ha ricoperto la carica di presidente. La Onlus intitolata a Paolino Avella tuttora distribuisce borse di studio agli studenti e funge da motore di tante iniziative finalizzate a mantenere vivo il ricordo dello studente del liceo vesuviano.
Pochi giorni prima del ventennale della morte di Paolino Avella, la sera del 19 marzo del 2023, un altro giovane figlio di questa città è andato incontro allo stesso infausto destino. L’aspirante piazzaiolo 18enne di Pianura, Francesco Pio Maimone, viene raggiunto da un proiettile vagante dritto al petto, mentre si gode una serata in compagnia degli amici nella zona degli chalet di Mergellina. Poco distante, al culmine di una lite tra giovani di Barra e del rione Traiano, il 20enne Francesco Pio Valda, rampollo dell’omonimo famiglia camorristica di Barra, indispettito da un pestone che gli sporca una scarpa, estrae la pistola e spara una serie di colpi ad altezza d’uomo, tra quali quello che si rivela letale per Francesco Pio, estraneo alla lite. Valda viene arrestato la mattina seguente, mentre su TikTok impazzano video celebrativi in cui le sue gesta vengono osannate. Nessuna forma di redenzione o pentimento, seppure poco prima di finire in manette il 20enne contattò suo zio, Ciro Niglio, all’epoca collaboratore di giustizia, per manifestare la volontà di pentirsi, dopo aver confessato l’omicidio. Una confessione mai più ripetuta, tuttavia il processo che lo vede alla sbarra insieme ai suoi complici stia concorrendo a ricostruire in maniera nitida la dinamica dei fatti, seppure non siano mancati momenti concitati, complici le deposizioni di testimoni remissivi e omertosi, come sovente accade durante i processi di camorra quando i testimoni vengono chiamati a confermare le dichiarazioni rese agli inquirenti.
Poco dopo la mezzanotte di sabato 2 novembre, in piazza Raffaele Capasso a San Sebastiano al Vesuvio, storico luogo di ritrovo abituale per i tanti giovani della zona, il 19enne di Volla Santo Romano, portiere di una squadra di calcio che milita nel campionato di Eccellenza, è stato ucciso da un colpo di pistola che lo centrato dritto al petto, mentre un altro proiettile ha ferito al braccio un suo amico. Diversi i colpi esplosi da un minorenne originario di Barra, uscito lo scorso maggio dal carcere minorile di Nisida, accusato di spaccio di stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale. Il 17enne, indispettito da un pestone che gli ha macchiato una scarpa, avrebbe avuto una lite accesa con il gruppo di amici di Santo. Gli animi si sarebbero poi sedati e il minorenne si è allontanato, per poi tornare in piazza poco dopo e sparare contro il gruppo di giovani con i quali aveva avuto quella futile discussione. Santo si sarebbe avvicinato alla minicar guidata da un amico del 17enne per placare gli animi e sedare la lite e per questo avrebbe avuto la peggio, restando ferito mortalmente dal primo colpo esploso dal minorenne che non gli ha lasciato scampo. Anche in questo caso, nelle ore successive all’omicidio, sui social sono apparsi plurimi contenuti in cui le gesta dell’assassino venivano esaltate e acclamate. Armi in bella mostra o pistole mimate con le dita, la sostanza non cambia: per quei ragazzi, apparire conta più di qualunque cosa e la violenza diventa un trofeo da esibire in maniera direttamente proporzionale alla gravità dell’azione compiuta.
Anche in questo caso, l’omicidio è stato introdotto da un clima segnato da plurimi episodi di volenza. Liti, accoltellamenti, giovani in scooter con coltelli e pistole in bella mostra. Uno scenario che lasciava presagire che in quella piazza potesse scapparci il morto, ma la ferocia che ha segnato l’omicidio del 19enne ha profondamente ha introdotto uno scenario inimmaginabile che ha turbato la comunità.
Tra Santo e Paolino non c’è in comune solo il luogo in cui si è consumata la tragedia, ma anche quel moto di ribellione che ha scosso le coscienze dei giovani, spingendoli a scendere in strada per urlare tutto il loro rabbioso dolore. Migliaia di persone hanno aderito alla fiaccolata voluta da Padre Enzo Cozzolino, sacerdote della basilica di San Sebastiano al Vesuvio. Uno scenario simile a quello andato in scena a Pianura, all’indomani dell’uccisione di Francesco Pio Maimone, anche lui scippato alla vita per una scarpa macchiata, proprio come Santo.
Un campanello d’allarme che risuona in maniera assordante e che sottolinea la deriva di valori che imperversa tra i figli più scellerati della generazione contemporanea per i quali un oggetto costoso vale più di una vita umana. Poi c’è la ferocia, la foga e la smania di prevaricare sui “disarmati”: giovani capaci di uccidere senza motivo, o meglio, a caccia di qualsiasi futile pretesto per uccidere. Un famelico livore di sangue, capace di far schizzare l’adrenalina a mille, impedendo a qualsiasi sentimento di redenzione e pentimento di irrompere sulla scena.
Il filo conduttore che congiunge queste tre storie non è solo Barra, il quartiere di provenienza dei rispettivi carnefici, ma soprattutto le doti caratteriali dei tre giovani morti prematuramente e che gli consentivano di brillare in vita e di toccare i cuori di migliaia di persone dopo la morte, riuscendo a commuovere ed emozionare l’Italia intera. Ciascuno di loro è un ragazzo speciale, capace di conquistare un posto privilegiato nel cuore degli amici e di lasciare il segno nelle persone che incontrava. Carisma, simpatia, solarità, generosità, sono solo alcune delle caratteristiche che li accomunano e che anche per questo si sono rivelate capaci di fare la differenza, fin dai primi istanti.
Tre ragazzi che vivevano una vita normale e che coltivavano il sogno di una vita normale, indistintamente tra i banchi i scuola, il bancone della pizzeria e la porta di calcio. Sogni distrutti da coetanei, incapaci di coltivare sogni.
Ciascuno di loro è destinato a vivere in eterno nei cuori e nei ricordi di coloro che li hanno amati e vissuti, seppure per troppo poco tempo, ma anche nella commozione di chi, pur non conoscendoli, ha imparato a volergli bene, fin da subito. Premessa tutt’altro che scontata, al cospetto di un elenco di vittime innocenti fin troppo lungo e fitto di nomi finiti ben presto nel dimenticatoio.